L'ANALISI
05 Dicembre 2016 - 10:45
Dopo sei mesi di bombardamento mediatico, finalmente stasera sapremo se a vincere il referendum sarà il composito schieramento del No, che va da CasaPound a Sel e che comprende tra gli altri Forza Italia, Lega e un pezzo del Pd. O se la spunteranno Renzi e il governo, che sulla riforma costituzionale si giocano tutto. A chiusura di una campagna referendaria esasperante e martellante che ha contribuito ben poco a fare chiarezza su una materia ostica e controversa, ribadiamo una convinzione manifestata prima che si aprissero le ostilità. E’ assurdo chiamare gli elettori a votare su temi che solo i costituzionalisti e pochi altri conoscono e sui quali sono in grado di esprimere valutazioni obiettive, scevre da influenze politiche. L’Italia è l’unico Paese occidentale dove le modifiche costituzionali possono essere soggette a referendum confermativo nel caso in cui in parlamento non si raggiunga la maggioranza qualificata. Il motivo di questa anomalia è da ricercare nelle origini della Carta. Il Paese era appena uscito dal fascismo e i padri costituenti intendevano introdurre vincoli di tutela democratica dei quali altrove non si sentiva la necessità. Da giugno a oggi la maggioranza dei politici impegnati nella propaganda elettorale ha fatto brandelli della Costituzione e della riforma. Abbiamo sentito tutto e il contrario di tutto. Ne usciamo disorientati e disinformati. Ne sappiamo ancor meno di prima che la riforma costituzionale diventasse argomento quasi esclusivo di dibattito pubblico. E’ ciò che volevano i sostenitori del No, uniti dall’obiettivo comune di cacciare il Premier.
Renzi è caduto nella trappola, annunciando che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso. Il referendum sulla riforma costituzionale è diventato un ‘plebiscito’ sul Presidente del Consiglio e sulla sua permanenza a Palazzo Chigi. Tutti i tentativi successivi di riportare al centro della discussione le proposte di modifica e di spersonalizzare il dibattito sono falliti.
Personaggi del centrosinistra e del centrodestra – Bersani, D’Alema e Brunetta per citarne alcuni – sono passati con la massima disinvoltura dall’approvazione della riforma in aula alla bocciatura sulle piazze e negli stucchevoli talk show televisivi. Per limitare i danni e organizzare la controffensiva, Renzi e i suoi hanno alzato i toni. Hanno dipinto l’appuntamento odierno come l'ultima scialuppa sulla quale imbarcarsi per evitare il naufragio generale. Nessuno pensa che siamo alla vigilia dell’apocalisse se vince il No, tanto meno chi sta al governo. Sappiamo invece che gli interessi del Paese, le indicazioni dell’Europa, le aspettative dei mercati, la necessità di riforme sono passati in secondo piano e sono quasi scomparsi sotto la valanga di strumentalizzazioni. La Costituzione riformata non è la panacea di tutti i mali. Ma è uno dei fattori di sviluppo sociale ed economico per uno Stato che faticosamente cerca di ammodernarsi.
La campagna referendaria ci ha offerto l’ennesima dimostrazione del nanismo della nostra classe dirigente politica. A tanta povertà umana e intellettuale gli italiani pare che reagiscano non con disgusto come l’istinto suggerisce, ma partecipando e appassionandosi, se hanno qualche significato le code che si sono formate ieri all’ufficio elettorale del Comune di Cremona. Parafrasando Obama quando Trump ha battuto Hillary, vinca il Sì o vinca il No, una cosa è certa: domani il sole sorgerà ancora.
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