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23 ottobre

Il Governo in difesa di un settore strategico

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24 Ottobre 2016 - 10:56

Il Governo in difesa di un settore strategico

La siderurgia è uno dei pilastri che sorreggono la nostra economia, preceduta dall’agricoltura e dall’agroalimentare. Questi tre settori, col vasto indotto che generano, concorrono a formare la quota maggiore del pil provinciale. Sono fondamentali non solo per i numeri che esprimono, ma anche per le conoscenze e le competenze che creano e tramandano. Sono tre eccellenze, come si diceva un tempo, o assets, se suona meglio dirlo in inglese. Hanno plasmato questo territorio, indirizzandone lo sviluppo e trainano altri settori produttivi. La nostra provincia è così come la conosciamo in virtù delle sue specificità, nonostante il processo di globalizzazione in atto tenda a uniformare e livellare. Qui si è formato un distretto liutario a distanza di oltre tre secoli dalla nascita dei più grandi maestri perché esistevano le condizioni culturali che hanno consentito a generazioni di liutai di affermarsi nel mondo. Nessun successo è frutto del caso, ma è il risultato di impegno e sacrifici, che scelte sbagliate possono rapidamente distruggere.
Oggi la siderurgia italiana è a un bivio. La direzione che prenderà dipende dalle scelte che nei prossimi mesi verranno fatte e che avranno inevitabili ricadute su Cremona. Lo snodo è il futuro dell'Ilva, il polo siderurgico più importante d'Europa, che è stato al centro del confronto su industria, ambiente e globalizzazione avvenuto ieri in sala Rodi tra Giovanni Arvedi e il senatore Massimo Mucchetti. La discussione ha posto l'accento sulle decisioni che il governo deve prendere se non vuole perdere un altro settore fondamentale dell’economia nazionale.

Delle 25 manifestazioni di interesse per il polo produttivo di Taranto, ne sono rimaste in campo solo due, quella che fa capo ad Arvedi-Del Vecchio con l'appoggio della Cassa depositi e prestiti e un eventuale partner internazionale e l'altra del gruppo Arcelor-Mittal con una quota di Marcegaglia. La prima propone il mantenimento dell'attuale capacità produttiva e dell'occupazione esistente (circa 11mila dipendenti), l'altra punta invece al ridimensionamento dell'Ilva. La terza via chiama direttamente in causa il governo. Se il polo siderurgico di Taranto è un asset fondamentale per il Paese, si deve manifestare ad ogni livello la volontà statuale di conservarlo e potenziarlo. Se ci crede, l’Italia deve vincere le resistenze in Europa dove altri Paesi manifatturieri, la Francia in testa, vorrebbero miniaturizzare l’industria siderurgica italiana. Il nostro governo si deve imporre, se ci crede, come i cugini d’Oltralpe hanno fatto per salvare la Peugeot o come i tedeschi si sono spesi per le loro banche. Bisogna farlo, a costo di entrare in collisione con l’Unione Europea se accusati di elargire aiuti di Stato. Gioca a nostro sfavore la scarsa (per usare un eufemismo) reputazione che abbiamo in Europa. Ce la siamo guadagnata con la nostra inaffidabilità politica. Le promesse non mantenute, i trucchetti e i sotterfugi tipici di un certo modo di fare politica premiano a Roma, non a Bruxelles. E’ una strada tutta in salita che il nostro Paese deve percorrere, se ci crede. Sarebbe il primo, vero atto di politica industriale di un governo italiano negli ultimi trent’anni.
 Oggi focalizziamo l’attenzione sull’acciaio e l’Ilva perché siamo direttamente coinvolti col gruppo Arvedi, leader al mondo nel campo dell’innovazione tecnologica in campo siderurgico. Abbiamo le conoscenze e le competenze, in questo come negli altri settori dove eccelliamo. Purtroppo l’atavico disinteresse dei governi di ogni colore verso comparti strategici dell’economia nazionale, ad esempio l’agricoltura, non lascia ben sperare per una battaglia in difesa della siderurgia. Ci auguriamo che i fatti ci smentiscano.

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