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9 ottobre

Referendum, si torna a parlare di politica

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

10 Ottobre 2016 - 10:00

Referendum, si torna a parlare di politica

L’incontro organizzato ieri in Comune a Crema dal Movimento 5 Stelle sul referendum del 4 dicembre ha fatto centro: sala stracolma e gente in piedi, anche sulle scale. C’erano soprattutto i grillini a tifare per il loro portavoce nazionale, il deputato Danilo Toninelli che giocava in casa. Il suo antagonista, il sottosegretario alle Riforme Luciano Pizzetti, è stato abile nel mantenere il confronto sul progetto del Governo e sulle sue ricadute politiche, sociali ed economiche anche quando sarebbe stato facile cedere alle provocazioni e alla demagogia. Ognuno dei due ha interpretato correttamente il proprio ruolo. Pizzetti ha fornito argomentazioni a sostegno del Sì che rafforzano le convinzioni di chi ha già deciso di approvare la riforma. Toninelli ha dato a chi voterà No ulteriori motivazioni a favore di quella scelta. Ma l’uno e l’altro, benché preparati e dotati di buona dialettica, non hanno convinto chi la pensa in modo diverso da loro. E tanto meno riescono in questa impresa i frequentatori abituali dei salotti televisivi, chiamati a discutere della riforma. Chi ha già deciso non cambia idea perché l’approccio all’intera materia non è tecnico, ma politico. Tutti gli sforzi per spiegare e convincere sono inutili. Non potrebbe essere diversamente da così. Ce lo spiega con la forza dei numeri il recente sondaggio dell’Ipsos dal quale risulta che solo un italiano su 10 dichiara di conoscere i contenuti della riforma costituzionale. L’8 per cento degli intervistati ha ammesso di non sapere nemmeno che ci sarà un referendum. Una sparuta minoranza si documenta, approfondisce e matura un’opinione personale. Tutti gli altri colgono perlopiù i rumori di fondo di un dibattito del quale fanno propri slogan e luoghi comuni. Perciò sorge spontanea la domanda: ha senso sottoporre a referendum un progetto di legge di riforma costituzionale?

La possibilità di ricorrere al referendum costituzionale venne introdotta dai padri costituenti quando non si fosse raggiunta la maggioranza qualificata in parlamento alla seconda votazione. Era una garanzia democratica che a quell’epoca appariva indispensabile per un Paese che usciva dal fascismo. Oggi l’Italia è l’unico Stato dell’Unione Europea e tra i pochi al mondo che include il referendum tra gli strumenti da utilizzare sui temi costituzionali. Toninelli e Pizzetti da posizioni diverse difendono la chiamata dei cittadini alle urne. Il costituzionalista Paolo Sabbioni in un incontro pubblico a Cremona ha spiegato tutti i rischi legati al referendum, compresi quelli che adesso si presentano, non ultima l’azione intentata al Tar Lazio sul quesito, che ne affianca un’altra avviata a giugno al tribunale civile di Milano. Se contenuto e iter dei due procedimenti sono diversi, la sostanza è analoga.

Non si può pretendere che un comune cittadino conosca una materia così complessa e controversa. Gli esponenti dei due fronti chiamati ai vari confronti salvo eccezioni non aiutano a capire. Il dibattito risulta drogato dalla personalizzazione del referendum che oggi agli occhi dei più appare come un voto su Renzi. Il Premier ha contribuito a caricare la consultazione di altri significati oltre a quelli che gli sono propri, trasformandola anche in un tagliando sulla sua permanenza a palazzo Chigi. L’ha fatto quando ha annunciato che in caso di sconfitta si sarebbe dimesso. E’ corretto che si sia impegnato a lasciare l’incarico in caso di sconfitta e che lo abbia detto agli elettori. Sarebbe stato meglio se non l’avesse fatto non nei termini ricattatori e con l’enfasi che gli sono propri. Metà degli italiani non sa che cosa votare perché non conosce la materia. Dell’altra metà, pochi voteranno a ragion veduta. Tutti gli altri, e sono la maggioranza, sceglieranno in base alle convinzioni politiche personali e alla simpatia o antipatia che provano per il Presidente del Consiglio.

Da trent’anni si tenta inutilmente di superare il bicameralismo perfetto e di porre termine al ping pong delle leggi tra le due Camere. Il tempo è un costo e la velocizzazione dell’iter legislativo è un argomento che fa presa sull’opinione pubblica, come lo è quello del taglio delle 315 indennità del Senato. Ma sono aspetti marginali rispetto alla complessità e alla portata della modifica costituzionale sulla quale siamo chiamati a pronunciarci. Anche la questione dei poteri del governo è controversa e lo è all’interno dello stesso Pd che secondo l’opposizione da questa riforma dovrebbe trarre il massimo vantaggio. Se due esponenti storici del Pci-Pds come Alberto Asor Rosa e Beppe Vacca non sono d’accordo su questo aspetto sostanziale, come possono chiarirsi le idee gli elettori di destra, di sinistra e di centro? Ecco perché quello del 4 dicembre sarà un voto sostanzialmente politico.

Se gli incontri come quello di ieri a Crema non servono per decidere che cosa votare, hanno comunque il pregio di riportare i cittadini a occuparsi della politica. Nell’epoca dell’antipolitica non è cosa da poco.

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