L'ANALISI
12 Luglio 2016 - 12:29
La cancellazione delle Province è concepita per ottenere un duplice obiettivo: diminuire la spesa pubblica e razionalizzare i servizi. Questa riforma presta il fianco a molte critiche e a una in particolare. Se si ritiene che le Province siano inutili, perché le loro funzioni possono essere assorbite dalle Regioni e dai Comuni, che senso ha accorparle nelle Aree vaste? Sarebbe meglio toglierle dalla geografia politica. Molti ne sono convinti, anche se noi e qualcun altro crediamo che la madre di tutte le riforme sarebbe sopprimere le Regioni, carrozzoni mangiasoldi, inopinatamente inserite nel dettato costituzionale. Sono domande e obiezioni che fanno il paio con considerazioni analoghe in merito al superamento del bicameralismo perfetto. Il risparmio generato dal Senato riformato secondo lo schema renziano è minimo e non giustifica il mantenimento in vita di una ‘Camera alta’ formata da non eletti che rappresentano le autonomie locali e che godono dell’immunità. Anche in questo caso, l’azzeramento consentirebbe un risparmio molto più consistente e lo snellimento dell’iter legislativo. Forse il Premier avrebbe avuto meno grattacapi se avesse deciso di cancellare il Senato. E la soppressione definitiva delle Province avrebbe evitato che tornassero a manifestarsi tensioni di stampo medioevale tra Comuni e il riesplodere dei campanilismi.
La Crexit, Brexit in versione padana, ci propone spunti quotidiani di dibattito e parecchie argomentazioni, alcune costruttive, altre stucchevoli, sia da parte dei fautori della secessione cremasca, sia da parte avversa. La lettera del sindaco di Cremona, una sorta di appello all’unione della Bassa Padana, ha ravvivato la discussione e ha riportato l’attenzione sulle due ipotesi di Area vasta: l’una formata da Crema con Lodi e Milano, l’altra costituita da Cremona e Crema con Mantova. Se la logica, come si diceva, è quella di diminuire i costi, concentrando i servizi, le nuove aggregazioni territoriali dovrebbero avere un numero minimo di abitanti non inferiore al milione, come ricorda Galimberti nel suo scritto.
È corretto pensare a un’Area vasta policentrica, che rispetti e valorizzi le autonomie, quella cremasca nell’ipotesi di unione tra Cremona e Mantova, e che faccia perno sugli elementi comuni, che non sono pochi, soprattutto l’agroalimentare. Se si inventano a tavolino aggregazioni come quella della Regione Europea della Gastronomia, che nel 2017 sarà la Lombardia orientale, formata dalle province di Bergamo, Brescia, Cremona e Mantova, è pienamente legittimata un’Area vasta che unisca i territori del Po, affrancando Crema dall’abbraccio (mortale?) di Milano.
La disputa sulla costituenda Area vasta è squisitamente politica. Ed è una questione di potere, spacciata ai cittadini (cremaschi) come una questione di sopravvivenza. I sindaci del Cremasco fanno leva sulla rivalsa nei confronti di Cremona, che oggi lascia il tempo che trova. Si utilizza in modo strumentale anche l’accorpamento dei servizi perché non si distinguono quelli essenziali da quelli accessori. Sul piano dell’offerta sanitaria poco o nulla cambia per i cittadini. La musica cambia invece per i politici che già si sono lasciati scippare la direzione dell’Agenzia per la tutela della salute, e la Soprintendenza ai beni artistici, ora concentrate a Mantova. Si è già capito che al tavolo della spartizione politica i virgiliani fanno e faranno la parte del leone. E noi? Noi ci dividiamo. Il Pd, partito di maggioranza relativa, è spaccato, col segretario provinciale cremasco che risponde al richiamo della foresta cioè al territorio (e agli sponsor) mentre dialoga con Cremona. E non c’è nessun altro soggetto politico in grado di governare questo passaggio. Si vuole il referendum? Vinca il migliore, senza rimpianti per gli ipotetici trionfatori della Crexit. Brexit insegna.
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