L'ANALISI
14 Giugno 2016 - 11:07
Sfiora i 14 miliardi di euro il debito del Comune di Roma. Prima del 2008 ammontava a 22,4 miliardi e ancora adesso il bilancio ha un disavanzo strutturale di 100 milioni al mese. L’esposizione dell’amministrazione capitolina è una selva nella quale è complicato districarsi, tra mutui che risalgono alla notte dei tempi e mancate liquidazioni di espropri per vertenze giudiziarie che si trascinano da anni. Anche i crediti sono in larga parte indefiniti, come ha ammesso la gestione commissariale che finirà tra una settimana. Per avere un’idea del caos finanziario, basti considerare che non è stato ancora completato il pagamento delle strutture delle Olimpiadi del 1960. E intanto si progettano i Giochi del 2024, voluti dal 58 per cento dei romani che pagano il dissesto amministrativo municipale con l’Irpef più alta d’Italia. In realtà tutto il Paese, cioè ognuno di noi, concorre a ripianare il deficit. Attraverso vari strumenti, tra i quali un contributo annuo perpetuo di 500 milioni, lo Stato paga debiti accumulati da una sola città. Lo fa con le tasse degli italiani: una vera ingiustizia. Lo slogan ‘Roma ladrona’ ormai è un marchio di fabbrica, un’infamia che nessuno può o vuole cancellare, forse nemmeno una Lega che oggi insegue altri temi più popolari, quali l’immigrazione e la sicurezza. Ma basterebbe che il leader del Carroccio ascoltasse i sindaci, non necessariamente i suoi, per capire quant’è scoperto questo nervo. Le municipalità, soprattutto quelle piccole, da anni soffrono. I sindaci devono fare i salti mortali per coprire i buchi aperti dal costante calo dei trasferimenti statali e regionali. Perdono consenso poco dopo la loro elezione perché non riescono a mantenere gli impegni a causa dei margini ristrettissimi di manovra consentiti dai bilanci. E i recenti segnali che arrivano da Roma aumentano il loro disagio.
A una settimana dal ballottaggio, trapela la notizia che è pronto il decreto che cancella sanzioni per un miliardo di euro inflitte alle Province che hanno violato il patto di stabilità e soprattutto a otto città metropolitane su dieci, tra le quali Roma, Milano, Torino e Napoli dove il 19 giugno si vota. Il provvedimento attende solo il via libera dal Consiglio dei ministri perché arrivino 500 milioni a partire da quest’anno a chi non è a posto coi bilanci. E i virtuosi? S’arrangiano. Per chi ha rispettato il patto interno, oltre al danno per avere rinunciato a spese necessarie c’è la beffa di avere sacrificato il consenso in nome della correttezza e per conto di uno Stato che corretto non è. Uno Stato forte coi deboli e debole coi forti. E profondamente ingiusto. Mezzo miliardo è il regalo alle città metropolitane negligenti e altrettanto alle ex Province che hanno sforato il patto nel 2015, quando la norma imponeva un avanzo di bilancio che oggi non è più necessario. Se queste sanzioni non venissero cancellate, si sommerebbero agli ulteriori tagli previsti dalla legge di stabilità del 2016, equivalenti a un altro miliardo. E con i bilanci da chiudere entro il 31 luglio, tutte le amministrazioni sanzionate dovrebbero bloccare gli investimenti. Ma analoghi provvedimenti sarebbe costretti a prendere anche i piccoli Comuni che violano il patto di stabilità. Non si capisce — anzi, lo si capisce benissimo — perché la sanatoria valga per città metropolitane ed ex Province e non per i centri minori. Il decreto va in soccorso dei più grandi a scapito dei più piccoli e procura un beneficio immediato al Governo.
E’ una bella boccata d’ossigeno, non c’è che dire. Ma molto da dire hanno i sindaci dei Comuni più virtuosi, non necessariamente i minori, a cominciare da quelli del nostro territorio che per capacità e senso etico rispettano le norme. Tutti, pro quota, hanno dovuto fronteggiare l’emergenza provocata dal passaggio delle funzioni alle Regioni previsto dalla legge Delrio.
La mossa del Governo può essere interpretata come un gesto di disponibilità di Renzi verso i Comuni. Non tutti, tocca precisare. Stride anche la strumentalità del provvedimento, considerata l’imminenza del voto. C’è chi lo chiama pacchetto pre-ballottaggio. Settant’anni di Repubblica ci hanno vaccinato davanti a ogni tipo di demagogia. Ciò che non si può accettare è il diverso trattamento riservato alle città, ai sindaci e a tutti noi.
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