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FI e Pd, è finito un modello di partito

Betty Faustinelli

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bfaustinelli@laprovinciadicremona.it

06 Giugno 2016 - 12:41

FI e Pd, è finito un modello di partito

Quando Silvio Berlusconi governava da padre-padrone Forza Italia, era impensabile ciò che sta accadendo adesso. Non c’è più traccia del partito carismatico per definizione, guidato da un leader indiscusso, attorniato dalla sua cerchia di fedelissimi.
Tra poche ore conosceremo l’entità della sconfitta di Fabio Marchini sul quale l’ex Cavaliere è stato costretto a ripiegare davanti al fuoco di sbarramento su Guido Bertolaso, impallinato dal centrodestra. Ammesso e non concesso che Giorgia Meloni arrivi al ballottaggio, sarà interessante vedere se prevarrà lo spirito di sopravvivenza e i brandelli della coalizione si ricompatteranno per sostenere la candidata di Fratelli d’Italia e della Lega.
La spaccatura avvenuta a Roma si riverbera in periferia. La presunta irregolarità delle convocazioni del congresso provinciale degli azzurri è stata un pretesto per delegittimare il gruppo dirigente di un partito costretto a confermare nel ruolo di coordinatore Mino Jotta perché incapace di esprimere unitariamente volti nuovi.
Sono divisi, lacerati, ma mantengono le ‘posizioni’, cioè confermano i loro amici nei consigli d’amministrazione. E’ la denuncia dei dissidenti, che lamentano una politica ridotta a gestione del potere e all’occupazione di poltrone, con buona pace della passione, dell’orgoglio di appartenenza e del lavoro di squadra invocati da Jotta. Liti, contestazioni e divisioni, inimmaginabili quando tutto ruotava attorno al capo, oggi vengono spacciate come manifestazioni di democrazia.
Sono sintomi di un malessere che delegittima i partiti e impoverisce la politica. Ancora più grave è la crisi che attraversa il Pd, la forza politica di maggioranza relativa nel Paese e in provincia.
A ogni pié sospinto esplodono contrasti. A Roma sono il dibattito sulla riforma costituzionale e il referendum d’ottobre a mantenere alta la tensione. Ma le divisioni interne sono talmente profonde che ogni pretesto è buono per litigare.
A Cremona il terreno di scontro è la costituenda Area vasta e ciò che ne deriva. Lo scontro più aspro è quello in corso sul riassetto degli Ambiti territoriali scolastici, un processo in atto in tutt’I t alia. Qui l’accorpamento delle scuole scatena gelosie, revanscismi, rivalità storiche e campanilismi che nulla hanno a che vedere con il dimensionamento dell’offerta formativa e con le esigenze degli studenti, delle loro famiglie e degli insegnanti.
La rivalità tra Crema e Cremona riappare sotto forme e modi diversi, inaspettatamente anche nel Pd, il partito che eredita una tradizione di compattezza e monolitismo.
Ai tempi del Pci c’erano due federazioni: quel tipo di organizzazione sopravvive oggi nel Pd con due segretari cittadini e uno provinciale. Non era mai successo che le due anime del partito, quella cremonese e quella cremasca, si scontrassero pubblicamente com’è avvenuto sul riassetto degli istituti scolastici.
La direzione cremonese contesta la linea comune seguita dal sindaco di Crema, Stefania Bonaldi, e dal segretario provinciale del Pd, Matteo Piloni, che è anche assessore comunale. Le spinte centrifughe del cremasco aumentano, con Piloni che le asseconda, e sfuggono al controllo dei dem.
Pur nel rispetto delle diversità, un tempo il Pd dettava linea e agenda a tutti. Oggi si divide e litiga. I dirigenti scrivono e approvano documenti che certificano la loro debolezza: se non riescono a trovare soluzioni condivise come possono pretendere di imporle agli alleati?
Non sono più in grado nemmeno di scegliere un candidato sindaco, com’è accaduto a Cremona. Hanno smarrito la bussola, forse per una crisi di idee e di valori che è figlia del nostro tempo, visto che tutti i partiti tradizionali sono in crisi in Europa. Pur con le riserve che puntualmente esprimiamo sulla gestione della politica, restiamo convinti che i partiti siano indispensabili per la democrazia.
Sono i luoghi deputati alla scelta degli interventi finalizzati allo sviluppo sociale, economico e culturale. Da tempo rimarchiamo l’i ncapacità diffusa di progettare il futuro.
Lo sterile dibattito in corso sulla costituenda Area vasta e sui nuovi assetti istituzionali del governo locale e l’a n acronistico braccio di ferro tra Crema e Cremona ne sono la prova.

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