L'ANALISI
16 Maggio 2016 - 11:52
Il rapporto dell’Agenzia regionale per l’ambiente segna una svolta nella tormentata storia dell’inceneritore di Cremona. L’impianto non è sicuro o almeno non lo è stato per alcuni periodi e la sua gestione è inadeguata. Tecnicismi e gergo da iniziati lasciano trapelare una realtà preoccupante. Chissà se mai sapremo se e quali conseguenze ci siano state o ci saranno per la salute pubblica.
A questo punto tutto torna in discussione. Si è autorizzati a non prestare fede alle rassicurazioni date ogni qualvolta sono stati sollevati dubbi sulla quantità delle emissioni esulla loropericolosità. Occorre riconsiderare gli studi e i dati allarmanti forniti dall’Associazione italiana mediciper l’ambiente, da sempre schierata contro questa modalità di smaltimento dei rifiuti. E’ il momento di esigere la trasparenza e la tempestività nell’informare che spesso sono mancate.
Le opacità, i silenzi e i ritardi nel comunicarehanno alimentato una diffidenza sorta sin dalla fase preliminaredel progetto. Sindaco e giunta dell’epoca, sordi a ogni richiesta di chiarimento, procedettero ad appaltare i lavori senza avere le garanzie richieste dal comitato che si opponeva alla costruzione in quell’area.
Ancora adesso c’è chi giustifica l’operato di quei campioni di democrazia che tradirono il referendum del 18 giugno 1994 quando 35.828 cremonesi, pari al 55,28 per cento degli aventi diritto, si recarono alle urne. Il 55,8 per cento votò per l’abrogazione della delibera comunale riguardante la localizzazione dell’impianto.
La maggioranza cattocomunista calpestò la volontà popolare, giustificando quella prepotenza conargomentazioni speciose che offendevano l’int elligenza deipromotori delreferendum e dei cittadini. Pochi anno dopo l’impianto raddoppiò.
Torniamo aoccuparcene oggi, sospinti dalle informazioni contraddittorie diffuse dagli enti preposti al controllo e dagli organismi incaricati di valutarne funzionalità ed efficienza. I dati pubblicati nel recentissimo rapporto dell’Arpa, stilato dopo numerose ispezioni, evidenziano anomalie nei sistemi di monitoraggio delle emissioni di diverse sostanze nocive. Secondo l’Agenzia regionale per l’ambiente, Linea Reti conduce l’impianto per conto di Lgh senza conoscere a fondo le modalità di gestione e interviene in ritardo.
Non controlla come dovrebbe e in caso di anomalia non fornisce comunicazione tempestiva. La scelta dei criteri di elaborazione dei dati è definita ‘non congruente’ co n la normativa esistente. I fumi sprigionati dal camino avvolgono una gestione nebbiosa, perfettamente in linea con tutto quello che è successo nei 22 anni di vita dell’impianto, dal suo concepimento ai giorni nostri.
Non è previsto il blocco automatico immediato in caso di superamento dei limiti delle emissioni: bisogna aspettare quattro ore prima che si interrompa l’attività. La carenza del sistema di monitoraggio ha prodotto elaborazioni inattendibili delle emissioni per cui oggi ci chiediamo che garanzie di sicurezza offra quell’imp ianto.
Non si pone questa domanda Legambiente Lombardia, partita lancia in resta con la richiesta di chiusura. E’ una posizione comprensibile, dato che a esprimerla è una componente autorevole della galassia ambientalista.
Ed è giustificata dal balletto di dati contraddittori e dai dubbi che ne derivano. Basti ricordare che il Politecnico di Milano con un suo studio ha decretato piena funzionalità ed efficienza del termocombustore che anche per questo ora è inserito nel decreto Salva Italia, cioè è una struttura sulla quale investire per il rilancio economico del Paese.
Non ci sono vie di mezzo: si passa dalla promozione a pieni voti alla bocciatura. Lo sconcerto è generale. I primi ad averne le tasche piene dovrebbero essere il sindaco Galimberti e i suoi, che in campagna elettorale promisero la dismissione in tre anni.
In base alle prescrizioni dell’Arpa il gestore ha tempo sino al prossimo marzo per mettersi in regola. Ma intanto crescono le perplessità sull’affidabilità degli impianti e sulla competenza tecnica di chi li fa funzionare. Dagli sgambetti e dalle scorciatoie di ventidue anni fa siamo passati ai dubbi e a ll ’incertezza di oggi.
Quel che è stato è stato, ma adesso si impone una svolta. Il Comune, costituitosi parte civile nel processo contro la Tamoil, accusata di reati gravissimi per l’inquinamento dei terreni sottostanti e adiacenti l’ex raffineria, sia coerente e si impegni a fare chiarezza sull’inceneritore. Non appoggiamo la richiesta di chiusura immediata, comprensibile ma demagogica.
Chiediamo invece la verità. E’ un impegno inderogabile per la politica e per chi amministra.
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