L'ANALISI
01 Giugno 2015 - 14:39
Emilio Zanoni
Il primo mese di Expo 2015 è stato coronato da un successo inaspettato. Due milioni di visitatori erano un traguardo inimmaginabile fino allo scorso aprile, quando si temeva che gli scandali e le inchieste, poi i ritardi nell'allestimento dei padiglioni avrebbero compromesso l'avvio e ostacolato lo svolgimento della rassegna. Ai dati euforizzanti di Federalberghi si aggiungono quelli altrettanto positivi sull'aumento delle transazioni con carta di credito a Milano. Nei primi 27 giorni di maggio rispetto allo stesso periodo del 2014 si è registrato un incremento del 16% che dà l'idea di ciò che si sta muovendo in questi giorni a ottanta chilometri da noi. A giugno si prevede un ulteriore aumento di biglietti venduti. I presidenti del Consiglio e della Repubblica consacreranno la manifestazione con le loro visite alle quali si aggiungeranno quelle di importanti capi di Stato. Gli occhi del mondo sono puntati su Milano, diretta e unica beneficiaria del movimento creato dall'Expo. Gli sforzi, peraltro timidi, che altre città e territori hanno fatto per intercettarne una parte sono perlopiù inutili. Cremona e provincia hanno fatto poco, ma di più non ci si poteva aspettare anche investendo idee e risorse maggiori. L'esposizione universale milanese era la grande illusione alla quale ci si aggrappava più o meno consapevolmente per un rilancio del nostro e di altri territori. E' stato uno dei totem utilizzati per esorcizzare un presente difficile e sperare in un futuro migliore. Non è così. Non ci sono forze o interventi esterni sui quali contare: siamo artefici del nostro destino. Non ci saranno miracoli che miglioreranno le infrastrutture e toglieranno Cremona e provincia dall'isolamento. La promozione delle nostre eccellenze dipende solo da noi. Siamo condannati al declino se aspettiamo aiuti dall'alto. Il paragone con un passato migliore e lontano, ma vivo nella memoria di molti di noi è sempre in agguato.
L’ha riproposto di recente Giuseppe Carletti con un intervento che solo a una lettura superficiale o strumentale appare nostalgico. Fotografa la realtà che è stata quella di una stagione politica ricca di proposte, che ha cambiato il volto della città, dandole la fisionomia che oggi conserva. Per non limitare la riflessione ai dieci anni che hanno visto Renzo Zaffanella sindaco, possiamo estendere all'immediato dopoguerra e agli anni del boom economico le considerazioni relative al decennio compreso tra il 1980 e il 1990. Altri grandi sindaci come Vincenzo Vernaschi ed Emilio Zanoni hanno lasciato segni permanenti della loro attività amministrativa. Accanto avevano uomini non meno validi di loro. Chiusa quell’epoca, Cremona ha perso smalto. Negli ultimi venticinque anni Cremona è scivolata nel letargo che ancora la pervade. Ha mantenuto le funzioni amministrative che lo status di capoluogo di provincia le assegnava ma ha perso potere e autorevolezza. Con la riforma Delrio che ridisegna i confini e redistribuisce le competenze, emergono prepotenti le spinte centrifughe. La città ha scarsa presa su zone che da sempre rivendicano la propria autonomia, come Crema e il Cremasco. Un territorio nel quale gli elementi divisivi prevalgono sugli interessi comuni oggi appare votato alla frammentazione. Ma le province non si smontano e rimontano a piacimento: non sono i mattoncini del Lego. Oggi più che mai si sente la mancanza di una leadership capace di unire comunità che sotto guide sapienti hanno conosciuto lunghi periodi di crescita e qualche momento di splendore. E' necessaria una rappresentanza politica forte e capace di progettare e dialogare per non uscire a pezzi dai cambiamenti in atto. Al centro del dibattito sull'Area vasta sinora c'è stata Crema, ma la questione riguarda anche altre zone con spiccata identità come il Soresinese e il Casalasco. Le chiacchiere e una politica autoreferenziale e inconcludente riguardano altri periodi, non la stagione politica descritta da Carletti. Se ne convinca il consigliere regionale Carlo Malvezzi. Si può obiettare che allora non esisteva il patto di stabilità, la spesa pubblica era illimitata e l'Europa era un'entità astratta e lontana, non un cane da guardia pronto ad azzannarci. Soprattutto si credeva che la crescita economica procedesse in modo costante. Tutto era o sembrava più facile. Ma senza intelligenza, idee e coraggio, anche allora poco o nulla si sarebbe fatto.
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