L'ANALISI
08 Marzo 2015 - 11:03
L'inceneritore in via San Rocco a Cremona
Tradire le promesse elettorali è una pessima abitudine. Annunciare e non mantenere è il vezzo di una classe politica poco affidabile, che ha perso credibilità anche per la disinvoltura con la quale disattende gli impegni. Siamo talmente abituati a diffidare di chi ci rappresenta da prendere con beneficio di inventario tutto ciò che ci viene detto. Eppure qualche volta ci capita ancora di cascare nel tranello di parole spese con faciloneria. In questi giorni si fa un gran dibattere a Cremona di raccolta differenziata dei rifiuti e torna alla mente la singolare sintonia che centrodestra e centrosinistra trovarono sulla chiusura dell’inceneritore. Confortati dalle indicazioni che venivano dall’Europa, dal governo nazionale e dalla Regione, tutti si affrettarono a dire che quel catorcio del termovalorizzatore sarebbe stato chiuso al più presto. Il Pd si divise. Gli ecologisti dem cinguettavano con ‘Amali’, l’associazione più radi cale nella lotta all’incenerimento. Nel dibattito sul Piano pro- vinciale dei rifiuti prevalse l’ala ambientalista, favorevole allo smantellamento immediato dell’impianto e si deliberò di chiudere il termocombustore a prescindere dalla valutazione dei costi e dalle alternative imposte dalla cessazione dell’incenerimento, una pratica ritenuta in via d’estinzione. Sbagliando, si concentrò la discussione sul termovalorizzatore che in quanto macchina non è né buono né cattivo: dipende da come viene usato. Si tornò a demonizzare il forno di via San Rocco, riportando il dibattito indietro di vent’anni, all’epoca del referendum tradito. Le parole d’ordine diventarono differenziata, riciclo e riuso, illudendosi che il solo pronunciarle risolvesse ogni problema. L’allora consigliere comunale e oggi assessore, Alessia Manfredini, proponeva la dismissione dell’impianto. Il senatore Luciano Pizzetti, ora sottosegretario, suggeriva una soluzione mista: il potenziamento della raccolta differenziata e la graduale riduzione dei rifiuti da bruciare.
Vinsero i favorevoli alla dismissione immediata, che fecero di questo obiettivo un cavallo di battaglia elettorale. Ma è stato un inganno: i tempi di chiusura del termocombustore si sono allungati, anziché accorciarsi. Era facile e anche un po’ irresponsabile sbandierare dai banchi dell’opposizione e poi in maggioranza lo stop del termocombustore senza una tempistica e la preventiva valutazione di un piano di rientro economico, concordato con Aem e con la capofila Lgh. Sarebbe stato più onesto dichiarare che forse in otto anni si sarebbe arrivati all’abbandono dell’incenerimento e intanto costruire gli impianti necessari allo smaltimento dei rifiuti da recuperare, pur sapendo che si continuerà a bruciarne una quota residua. Anziché procedere nella direzione dell’annunciata dismissione, sono stati effettuati gli interventi di revamping finalizzati a riportare l’inceneritore alla piena funzionalità. Quando in Comune ci si è accorti di non potere rispettare gli impegni elettorali, ci si è trincerati in un imbarazzato silenzio, sfuggendo al confronto pubblico. Ma i cittadini hanno il diritto di sapere che rifiuti si bruciano a Cremona, da dove vengono e dove finiscono le scorie e le ceneri e, soprattutto, se le emissioni comportano rischi per la salute pubblica. Non c’è chiarezza nemmeno sulle cause dei frequenti blocchi. Non si parla più del Tmb, il trattamento meccanico biologico dei rifiuti indifferenziati, che sembrava la panacea di tutti i mali, e nemmeno della trasformazione dell’umido. L’Amministrazione comunale ha incomprensibilmente abbandonato il progetto della centrale di produzione del biometano. Si perde tempo rispetto a Crema e a Casalmaggiore e senza la dovuta trasparenza si punta alla raccolta differenziata, che si farà perlopiù in strada, con prevedibili disagi in gran parte della città. Di questo passo c’è da chiedersi come si riuscirà a rispettare il termine per la chiusura degli inceneritori, fissato dalla Regione nel 2020. La questione non è solo tecnica, ma anche politica. Il Pd ripudia Franco Albertoni, un suo uomo, perché confermato alla presidenza dell’Aem da Oreste Perri, sindaco di centrodestra, e lo sostituisce con Massimo Siboni, un ex di An. Alla faccia della coerenza.
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