L'ANALISI
25 Gennaio 2015 - 18:11
Il pesante bilancio del pomeriggio di guerriglia urbana riserva almeno due note positive: Cremona si libera di Casa-Pound e del Centro sociale Dordoni. Purtroppo non lo fa senza colpo ferire. Il prezzo che la città paga è alto: otto feriti lievi e soprattutto gravi danni a banche, negozi e al comando della Polizia municipale. Senza contare le botteghe chiuse e il sequestro in massa dei cittadini che intimoriti si sono asserragliati in casa. Compensano queste negatività lo sfratto dei fascisti, la cui sede è stata messa in vendita dal proprietario, e quello imminente degli autonomi. La maschia reazione del sindaco lascia intendere che gli antagonisti devono fare le valigie. Con parole che grondano rabbia e indignazione, Gianluca Galimberti annuncia provvedimenti radicali contro i delinquenti che hanno paralizzato la città. Sarà una giunta di centrosinistra a dare il benservito a un gruppo organizzato di estremisti, tollerato da trent’anni e nel lustro passato anche da leghisti e forzisti. Il loro sfratto è il minimo che i cremonesi s’aspettano. Gli autonomi non meritano ospitalità, come non ne sono degni i militanti di estrema destra che domenica scorsa hanno teso il sanguinoso agguato sfociato nella violenta prova di forza di ieri. In questura si prevedeva il tentativo di sfondamento del cordone di agenti collocato attorno a CasaPound. Le conseguenze sarebbero state sicuramente ben più gravi se i manifestanti fossero riusciti nel loro intento. E di questo bisogna ringraziare le forze dell’ordine. Il Dordoni ha pianificato l’attacco alla polizia lanciato dal plotone di black bloc che alle 17 ha preso la testa del corteo e scatenato l’inferno. Voleva che le frange più organizzate e violente, dotate di caschi, tute e maschere antigas vendicassero Emilio Visigalli. E in un attimo è scoppiata la battaglia, con buona pace degli appelli alla responsabilità lanciati dai familiari del ferito e da altri vicini al Centro sociale. E’ stata una risposta speculare all’agguato fascista. Ed è giusto che alle due fazioni in lotta il sindaco neghi ogni diritto di cittadinanza.
Altri devono pagare per il pomeriggio di un giorno da cani inflitto ai cremonesi. Parliamo dei fiancheggiatori politici che hanno legittimato la manifestazione senza condividere gli appelli alla non violenza. Il segretario di Rifondazione comunista Paolo Ferrero mistifica senza pudore i fatti e affida alle agenzie una nota che farebbe arrossire un comune cittadino, figuriamoci un ex ministro della Repubblica. Dichiara «vergognoso e inaccettabile che il corteo antifascista sia stato caricato dalla polizia mentre i fascisti che aggrediscono agiscono sempre indisturbati». E l’onorevole Franco Bordo, altro campione di ambiguità, in prima fila tra i manifestanti, se ne guarda bene dal dissociarsi dai violenti. In settimana li aveva lisciati, pur relazionandosi con i rappresentanti delle istituzioni. Non aveva preso una posizione netta. Forse guadagna i voti degli autonomi. Di sicuro ottiene il rancore di migliaia di cittadini indignati. Ai primi lanci di bengala, bottiglie, fumogeni e bombe carta anche un ingenuo avrebbe capito quali erano le reali intenzioni del Dordoni. Ma l’onorevole Bordo tace. Anche tutte le componenti organizzate del corteo, dal Sindacato di base alle molteplici sigle comuniste e della galassia antagonista condividono le colpe se non si dissociano dall’epilogo violento. Chi ha procurato i disordini ha fatto fallire la manifestazione senza colpire CasaPound che era già chiusa. Il Centro Dordoni verrà sfrattato mentre poteva sfruttare a suo favore il ferimento di un suo esponente. Adesso la città è ancora più ostile agli uni e agli altri. Ma è ancora più determinata nella lotta a ogni forma di estremismo.
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