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Sempre più diffidenti ma con l’Islam dobbiamo convivere

Vittoriano Zanolli

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lromani@laprovinciadicremona.it

11 Gennaio 2015 - 11:02

Sempre più diffidenti ma con l’Islam dobbiamo convivere

E’ fuori dalla storia chi auspica la cacciata degli islamici dall’Italia ed evoca la vittoria di Lepanto, riportata dai cristiani della Lega Santa sulla flotta del l’Impero Ottomano nel 1571. Striscioni che inneggia no a quella battaglia sono apparsi la notte scorsa qua e là sulle moschee della Penisola. Chi ha scritto quelle frasi non può fermare la Storia come non lo possono fare gli autori del massacro di Parigi. In queste ore si discute allo sfinimento se l’attentato alla redazione del settimanale Charlie Hebdo sia classificabile come atto bellico o come azione terroristica e se abbia fondamento l’associazione tra Islam e terrorismo. Il massacro parigino è l’ultimo di una serie di atti di guerra compiuti da movimenti non religiosi che strumentalizzano il fondamentalismo islamico per cementare l’odio contro l’Occidente. Nel 1979, all’epoca della rivoluzione khomeinista, i giovani iraniani bruciavano le bandiere americane, mentre Francia e Italia blandivano gli ayatollah. Oggi l’Europa e l’America sono un bersaglio unico e lo sono gli stessi Paesi musulmani aperti all’Occidente. Non dimentichiamo che le vittime più numerose delle azioni terroristiche che insanguinano il pianeta sono musulmani moderati, ritenuti un ostacolo al compimento del folle disegno politico di al Qaida, dei talebani, dell’Isis e di tutte le organizzazioni che si servono del nome di Allah per conquistare consensi e potere. Le vignette satiriche e l’irrisione dell’Islam e del Profeta sono solo un pretesto del quale gli attentatori delle Torri Gemelle non hanno avuto bisogno per colpire e uccidere. Con identica crudeltà e in modo altrettanto indiscriminato agiscono i tagliatori di teste nel nord dell’Iraq e le bande tribali libiche. L’Occidente non può e non deve attendere inerme il prossimo attacco. Se la strage di Parigi è il risultato di un’azione bellica, la risposta non può essere limitata al rafforzamento delle misure di sicurezza interne.

Sono necessarie operazioni coordinate dei Paesi occidentali nei campi d’addestramento dei guerriglieri e contro gli Stati canaglia che li ospitano fornendo loro protezione. E’ sconcertante la timidezza con la quale si cerca di contrastare l’Isis e l’indifferenza internazionale verso una Libia devastata dalla guerra civile e diventata zona di reclutamento di fanatici votati al martirio, pericolosamente vicina all’Italia. Le dichiarazioni di solidarietà alla Francia suonano ipocrite davanti all’atteggiamento attendista e rinunciatario di tutte le potenze occidentali. Occorre reagire prontamente e con fermezza. La stessa determinazione è necessaria sul fronte interno. Auguriamoci che non si realizzi la profezia di Michel Houellebecq che nel suo nuovo romanzo, ‘Sottomissione’, prevede l’ascesa al potere dei Fratelli musulmani in Francia nel 2020 con l’elezione di un presidente islamico moderato. La provocazione letteraria muove dalla realtà francese dove la presenza di stranieri, in particolare musulmani, è in costante aumento. E’ uno scenario che nemmeno i più rigidi vincoli all’immigrazione riusciranno a modificare. Se il saldo demografico oggi è positivo in alcuni Comuni della provincia di Cremona, e così nel resto del Paese, lo si deve solo agli immigrati. E questa tendenza è destinata ad aumentare. La strage di Parigi potrebbe complicare una convivenza che in passato è stata difficile con gli islamici. La moschea di via Massarotti a Cremona è tristemente ricordata per essere stata crocevia di aspiranti terroristi e per le prediche d’incitamento all’odio di imam finiti in carcere. Lì si progettarono attentati al Duomo di Cremona e alla metropolitana di Milano. L’imam Mourad Trabelsi e Ben Mouldi Kamel Hamraoui, vennero arrestati il primo aprile 2003 dai carabinieri del Ros di Milano con l’accusa di associazione per delinquere finalizzata al terrorismo internazionale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Furono poi condannati. I due nordafricani avevano il compito di reclutare in Italia islamici disposti ad andare a combattere in Kurdistan.

L’attuale moschea di Cremona risulta un tranquillo luogo di preghiera, ma i centri islamici non sono ancora quelle case di vetro che vorremmo. Perciò è comprensibile la protesta dei cremaschi che rifiutano la musalla e dei milanesi contrari all’apertura di un grande centro musulmano all’ex Palasharp. La pacifica convivenza si stabilisce attraverso rapporti di fiducia che fatti gravissimi come la strage di Parigi inevitabilmente incrinano. Perché la sfiducia non degeneri in aperta ostilità, serve una forte presenza istituzionale che garantisca sicurezza, rispetto delle leggi e chiuda ogni corsia preferenziale agli immigrati. Una presenza forte sconosciuta al nostro Stato.

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