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Nemmeno a Tirana le luminarie di Cremona e Crema

Gigi Romani

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lromani@laprovinciadicremona.it

21 Dicembre 2014 - 11:15

Nemmeno a Tirana le luminarie di Cremona e Crema

Quasi nove italiani su dieci a Natale resteranno a casa. La decisione di rinunciare alle vacanze, commenta Federalberghi, è dettata dall’allarmante situazione economica nella quale versa la maggior parte delle famiglie e dalle incognite del futuro che condizionano le decisioni anche di molti di coloro che possono permettersi un viaggio in Italia o all’estero. Il pessimismo dilaga, a dispetto delle dichiarazioni rassicuranti del Premier. L’anticipo dell’apertura dei saldi al 3 gennaio in tutta Italia ne è l’implicita conferma: risponde alla necessità di adottare tutte le soluzioni possibili per rimettere in moto l’economia. Ma l’aumento dei consumi resta un’illusione se il Paese non produce ricchezza che generi lavoro e che spinga al rialzo le retribuzioni che nel 2014 hanno fatto registrare la crescita più bassa degli ultimi 33 anni. Si ripetono gli errori del Governo Monti che confidava nella liberalizzazione delle licenze e degli orari dei negozi per rianimare il commercio. Se le famiglie non hanno possibilità di spendere, non c’è ripresa. Purtroppo si chiude l’anno peggiore da quando è scoppiata la crisi, nel 2008, e ancora non si vede la luce in fondo al tunnel. Per forza o per scelta si limitano gli acquisti e si rimane in città. E le città che cosa offrono a chi resta? Cremona ben poco, ma con questi chiari di luna non si poteva pretendere molto di più. In extremis il Comune è riuscito a salvare le luminarie, ma sono talmente dimesse da ricordare la Tirana dell’epoca antecedente il crollo del muro di Berlino.

Ora che l’Albania è in piena ripresa non le vorrebbero più. E a noi non servono a dare un’immagine festosa del centro. Anzi, sono deprimenti e producono l’effetto contrario a quello sperato. E comunque le luci più belle e sfavillanti non compenserebbero quelle spente nei negozi da una crisi che colpisce tutti i settori produttivi e che prostra il commercio. La stessa città si spe- gne lentamente.
Anche Crema, un tempo più dinamica e vitale, oggi è ripiegata su se stessa. Lungo il Serio e in riva al Po tira la medesima aria. Ci sono rassegnazione e scarsa capacità di reagire. Le due città storicamente antagoniste oggi sono unite da un destino comune. Sarà un caso, ma le stesse, tristissime luminarie addobbano, si fa per dire, il centro di Crema. Con una sola differenza: i commercianti cremaschi hanno protestato vibratamente, mentre i loro colleghi cremonesi si limitano ai mugugni. Al netto della pesantissima congiuntura economica che penalizza tutti, oggi si pagano gli errori e l’inerzia del passato prossimo e remoto, aggravati dall’immobilismo odierno. Le festività natalizie, tradizionalmente le più sentite dalla gente, potevano rappresentare l’occasione per lanciare un segnale di cambiamento. Invece l’anno si chiude così com’è iniziato, nel grigiore assoluto. L’unica nota di colore degli ultimi mesi per Cremona, dispiace ricordarlo, sono le strisce sull’asfalto di corso Garibaldi. Sparite quelle, non è restato nulla. E mentre si attende un progetto organico di pedonalizzazione e di rilancio del centro storico, i negozi chiudono. E’ un Natale amaro, non c’è che dire.

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