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LA RECENSIONE

Amleto2: Marilyn, Grande Puffo e lo tsunami creativo di Filippo Timi

Sregolatezza circense, risata, inquietudine e verità scenica nella trasposizione pop della tragedia di Shakespeare

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

12 Dicembre 2025 - 12:15

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Cremona Che cosa succede di Amleto se il fantasma del padre è Marilyn Monroe, se ad un certo punto entra un enorme Grande Puffo? Che cosa succede se Amleto assomiglia a un consumato guitto del varietà che si agita e strepita con genio e sregolatezza in una sorta di gabbia circense? Che cosa succede se la Cuccarini sfida la celebre battuta: «E il resto è silenzio»? Succede che si è in presenza di un Amleto2, elevato all’ennesima potenza di creatività e sregolatezza, che la tragedia shakespeariana diventa una sorta di canovaccio in cui Filippo Timi concentra la cultura pop degli anni Ottanta e Novanta, gioca col teatro in cerca di quella verità che sta solo nella finzione.

Amleto non ama Ofelia e glielo dice chiaramente, anzi l’Amleto di Timi - in scena al Ponchielli -  fa dell’essere e non essere un invito al coraggio, a osare, a non sottostare al ruolo che non solo il teatro, ma la vita stessa ci impone.

La storia di Amleto c’è tutta, ma per così dire centrifugata, diventa un milk shake coloratissimo, apparentemente zuccheroso, ma alla fin fine ferocemente amaro, anche e soprattutto nella risata che sollecita, incoraggia, quasi come antidoto, difesa allo spiazzamento che in continuo Timi produce sul testo, sul pubblico, sui suoi attori e su sé stesso.

Amleto2 è una sorta di tsunami che investe la platea, è ciò che non t’attendi, è come se Shakespeare avesse scritto la tragedia del Principe di Danimarca se fosse vissuto a cavallo del millennio. È un botta di adrenalina che non lascia respiro, che diverte e inquieta, che non permette allo spettatore di trovare un bandolo della matassa e chiede soltanto di abbandonarsi al gioco, all’eccesso per poi scoprire che tutto, Grande puffo compreso, ha un suo senso bruciante.

È necessario, così come necessaria è la regina Gertrude che a gambe aperte e in cima a una sorta di chapiteau inveisce contro il figlio e lo invita a uccidere Polonio. Per essere storici bisogna essere contemporanei dice Amleto/Timi e in ciò c’è lo spirito del teatro, c’è la ricerca inesausta dell’attore di quella verità, di quel coraggio che viene solo se sai osare, se sai muoverti sul limite dell’abisso, sul sottile confine che divide l’infelicità dalla risata.

 Timi e la compagnia: Marina Rocco (Marilyn), Elena Lietti (Ofelia) e Mattia Chiarelli (il Grade Puffo) hanno incontrato gli studenti di Aselli, Torriani, Anguissola entrando nel merito dello spettacolo e spiegando la sua estetica; l’iniziativa è stata realizzata dal Ponchielli in sinergia col Paf, ieri rappresentato da Andrea Cisi e Marina Volontè.

Ed anche questa appendice ha aiutato, ma soprattutto ha permesso ai ragazzi di conoscere e di analizzare il lavoro, insieme al suo autore. Che cosa ne è fuoriuscito? Il concentrato di verità che sta in questo Amleto2, la creatività di un interprete autore che fa dello stare in scena non un ripetere l’identico, un re-citare, ma una sfida continua con sé stesso, un dialogo col pubblico, un incontro di anime e corpi nella convinzione e nella speranza che veramente l’arte possa cambiare il mondo.

Ed è quello che cerca inutilmente Amleto, mettendo in guardia l’attrice che fa Ofelia che può ribellarsi al suo ruolo, a ciò che è scritto. Non è un caso che il fantasma sia Marilyn, attrice prigioniera del proprio personaggio, essere o non essere per antonomasia.

Ciò che fanno Filippo Timi e i suoi attori è sbatterci in faccia la loro libertà, toccacciarsi, baciarsi, agire con istinto poetico ed allora alla fine quella gabbia non imprigiona Amleto, ma ingabbia noi che affamati di autenticità spiamo quei comici che ci raccontano che per vivere ed esorcizzare la morte ci vuole coraggio e un po’ di incoscienza. Applausi per un artista che restituisce al teatro il suo spessore etico e sacro.

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