L'ANALISI
TEATRO. LA RECENSIONE
28 Novembre 2025 - 08:25
CREMONA - «La tragedia è mito che si fa teatro: non ci sono i sentimenti, ma gli archetipi dei sentimenti», scrive Alessandro Serra. È suono che va oltre la parola, è azione mossa dal suono, è coralità da cui emerge il singolo, parte della communitas e capro espiatorio per la salvezza della città. E’ semplicemente Tragùdia. Il canto di Edipo, in scena mercoledì al Ponchielli in apertura del cartellone di prosa, dedicato ai classici. Nel prefoyer il pubblico è chiamato usando la copertina del libretto di sala a lasciare un messaggio su cosa voglia dire classico, una raccolta di idee, di suggestioni, un dialogo col pubblico su ciò che oggi consideriamo classico, perché rispettoso di canoni e codici? O perché continua a parlarci? Interrogativi che trovano una corrispondenza nel dottissimo, formalmente curato allestimento di questa tragedia elevata alla terza, il canto di Edipo, in cui il mito è mediato dalla parola di Sofocle, reso misterioso – mito vuol dire la parola segreta – dall’uso della lingua grecanica nella consapevolezza che il teatro è lo spazio de vedere e guardarsi.

E proprio come nell’antica tragedia in cui il pubblico già conosceva la vicenda, per cui ciò che accadeva in scena richiamava non la curiosità dello svolgimento narrativo, ma l’intensità della forma, così in Tragùdia di Serra la vicenda nota di Edipo Re viene sciolta visivamente e drammaturgicamente con grande chiarezza: c’è Tiresia uomo e donna, c’è Polinice che scrolla la terra dal grande pastrano, c’è la consegna del piccolo Edipo al pastore, c’è quella lunga verga che uccide Laio e dà il via alla condanna di Edipo Re destinato a peregrinare col peso della colpa di aver ucciso il padre e giaciuto con la madre. La riconoscibilità visiva degli snodi narrativi della storia del Re di Tebe permette allo spettatore di godere e di immergersi nel canto e nel suono della lingua grecanica, permette di abbandonarsi alle immagini che prendono corpo dai movimenti del coro che commenta e fa, dice e crea, fino al compiersi della rivelazione e al pellegrinaggio di Edipo a Colono. Tutto in Tragùdia si tiene magicamente e con grande pensiero teatrale. Come non individuare qua e là citazioni registiche da Eimuntas Nekrosius a Peter Brook della Tempesta e del Sogno. Serra dimostra – ma già lo si sapeva – una profonda e articolata cultura teatrale, fa suoi codici e immagini e li rielabora, alla ricerca di quella trasformazione catartica che il teatro porta con sé. Di questo è convinto Alessandro Serra.

Così ci si ritrova al cospetto di pannelli tripartiti in grigio antracite che ricordano la Cappella Rothko con l’applauso che si accende pian piano, per poi scoppiare caloroso e prolungato, conferma ennesima che il teatro non può essere che teatro, esperienza estetica e intellettuale. Una scommessa vinta dal Ponchielli, istituzione pubblica che deve puntare in alto, deve fare cultura, ovvero coltivare l’humus della comunità cittadina con la bellezza e lo stupore che apre a nuovi orizzonti.
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