L'ANALISI
09 Ottobre 2025 - 16:06
L’adorazione dei pastori di Boccaccio Boccaccino (Galleria Estense di Modena)
CREMONA - È uno sguardo che ci guarda, ci interroga e ci ipnotizza: sono gli occhi chiari di una Zingarella - occhi curiosamente simili a quelli della ragazza afgana resa celebre dal fotografo Steve McCurry, più o meno cinquecento anni dopo - a richiamare la mostra Il Rinascimento di Boccaccio Boccaccino. Da domani - con apertura al pubblico alle 14.30 - all’11 gennaio, il Museo diocesano ospita la prima monografica dedicata all’artista, di cui si celebrano i cinquecento anni dalla morte. La mostra è curata da Francesco Ceretti (Università degli Studi di Pavia) e da Filippo Piazza (Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Brescia e Bergamo), coadiuvati da un comitato scientifico che annovera Gabriele Barucca (già Soprintendente per le province di Cremona Lodi e Mantova), Francesco Frangi (Università degli Studi di Pavia), Maria Cristina Passoni (Pinacoteca di Brera) e Cristina Quattrini (Pinacoteca di Brera). Il catalogo è di Officina Libraria.
L’idea della mostra nasce dall’acquisizione, un anno fa, del frammento di un’imponente pala d’altare già custodita nella chiesa di San Pietro. Realizzata prima del 1524 (data del saldo del pagamento all’artista secondo un documento notarile), la pala è stata sostituita una trentina d’anni dopo da una Natività di Bernardino Gatti. Sopravvive il frammento Due santi, un vescovo e il ritratto del committente, che sembra andare perduto. Lo pubblica, tuttavia, Mina Gregori nel 1959. Di Boccaccino, oltre a Gregori, si occupano Marco Tanzi e Alessandro Ballarin e, ancora prima, Roberto Longhi.
Eppure non è conosciuto, almeno non come merita e l’auspicio è questa mostra gli renda finalmente giustizia. Le opere - provenienti da importanti musei e da collezioni private - raccontano il percorso artistico di un pittore che ha attraversato il Rinascimento da protagonista.
Con un «colpo di lungimiranza culturale, capace di restituire alla città un tassello fondamentale della parabola artistica del suo autore» - così scrive Ceretti sulla rivista online gazzettantiquaria.it -, il Museo diocesano acquisisce l’opera. La giovane e super attiva istituzione museale cremonese custodiva già tre capolavori di Boccaccino: l’Annunciazione Ludovisi (deposito permanente da parte della Fondazione Arvedi Buschini), la Crocifissione della cattedrale e la Sacra Famiglia con Maria Maddalena già in San Luca. A prescindere dal ricorrere del cinquecentenario della morte dell’artista, non è quindi un caso che proprio attorno a questo acquisto sia sorta la volontà di allestire la prima mostra monografica dedicata all’artista.
Nato a Ferrara (la data di nascita si colloca tra il 1462 e il 1466 o addirittura il 1467), dal cremonese Antonio de Baccatiis, considerato un abilissimo ricamatore e attivo alla corte estense, Boccaccino comincia probabilmente il suo apprendistato nella città natale, ma lavora anche a Genova, dove è attestata la sua prima opere, e a Milano, dove conosce i lavori di Leonardo, Solari e Boltraffio. Proprio a Milano finisce in carcere dopo aver ferito un miniatore in una rissa
Nel 1500, dopo un’altra proficua parentesi ferrarese, si trasferisce in fretta e furia a Venezia. Qui, inseguito dai suoi incubi - ha ucciso la prima moglie, ‘colpevole’ di adulterio - l’artista impara la lezione di Giorgione, di Cima da Conegliano e di Giovanni Bellini, scopre Albrecht Dürer, che lo folgora, e perfeziona uno stile raffinato. Nel 1506 è a Cremona, dove ritrova l’amata pala Roncadelli del Perugino, e dove viene chiamato a lavorare in cattedrale. È il primo artista ad affrontare il ciclo di affreschi di quella che Antonio Paolucci definirà la «Cappella sistina della Val Padana»: suoi sono il Redentore tra i Santi Marcellino, Imerio, Omobono e Pietro esorcista, protettori della città, la dolcissima Annunciazione nel catino absidale. E ancora, dal 1514 al 1519, Boccaccino dipinge gli episodi della vita della Vergine e dell’infanzia di Gesù: l’apparizione dell’angelo a Gioachino, l’incontro di Gioachino e Anna, la natività di Maria, lo sposalizio della Vergine, l’annunciazione, la visitazione, l’adorazione dei pastori e la circoncisione. Tra l’impresa dell’abside e quella della navata sinistra, Boccaccino si è preso una pausa e, come molti artisti del suo tempo, ‘sciacqua i panni in Tevere’ e del soggiorno romano ci sarà l’eco nelle opere successive. Al suo ritorno, la cattedrale è un cantiere affollato: all’opera ci sono anche Gianfranco Bembo, il Romanino, Altobello Melone e il Pordenone. Anche da loro Boccaccino assimila qualcosa - e come sempre in chiave personale - e si avvicina infatti all’anticlassicismo.
Giorgio Vasari non lo ama, sottolinea la «vanagloria» dell’artista, ma ammette che Boccaccino ha «fama di raro e d’eccellente pittore» e che «erano sommamente lodate l’opere sue». Sempre secondo Vasari, meglio di lui dipinge il figlio Camillo, le cui opere in «San Gismondo lontano da Cremona un miglio (...) dai cremonesi sono stimate la miglior pittura che abbiano». Presumibilmente iracondo, considerati gli episodi salienti della sua vita , Boccaccino tutto sembra fuorché un uomo e un artista tormentato. È pittore di opere sacre, raffigura angeli dal volto efebico e Madonne dallo sguardo soave anche se forse un po’ triste. Tra tante Madonne, spicca la Zingarella, conservata agli Uffizi, non a caso scelta come immagine simbolo della mostra.
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