Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

IL COMMENTO AL VANGELO

A servizio di una chiamata più grande

Luca invita a esplorare una fede che va oltre la ricerca di sicurezza o potere: un percorso di fiducia e abbandono, che trasforma la vita attraverso piccoli gesti quotidiani e impegno paziente, dentro un progetto più ampio e spesso invisibile

Don Paolo Arienti

05 Ottobre 2025 - 05:20

A servizio di una chiamata più grande

In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe. Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».
(Lc 17,5-10)

Dopo diverse domeniche dedicate al tema della libertà del discepolo, dalle cose e dal possesso smodato delle ricchezze, Luca offre una variante profonda e difficile del medesimo focus. Gesù, mentre percorre l’unico suo viaggio verso Gerusalemme, il viaggio della sua vita e della sua Pasqua, dialoga con i suoi discepoli che gli chiedono lumi sulla fede e sul suo poter crescere. La risposta è una ulteriore provocazione, per certi versi doppia: in primo luogo Gesù sembra rimproverare i suoi interlocutori facendo loro notare che, se avessero solo un granellino di fede… allora potrebbero cose mirabolanti! In secondo luogo, suggerisce una connessione non immediata, ma per il Vangelo davvero strategica, tra fede e servizio, sino alla proclamazione dell’inutilità del servo.

Che cos’è dunque fede? A scuola si insegna a distinguere tra fede “oggettiva”, ovvero i contenuti di una credenza, la dottrina potremmo dire, e una fede “soggettiva” che è traducibile con fiducia, affidamento, abbandono confidente. Altrove Gesù stesso dirà che la misura del discepolo è un bambino, sia perché privo della capacità rivendicativa del diritto, sia perché capace proprio di abbandono. Luca si riferisce alla seconda forma della fede: quell’atteggiamento interiore che non strumentalizza Dio per operazioni di interesse, ma sa consegnare un’umanità a qualcosa di più grande. Solo se il credente vive e agisce dentro questa difficile e luminosa cornice, la fede sarà davvero fede e non subirà il rischio di confondersi con qualche forma di potere, ricatto o soluzione facile. Chi sperimenta il dono della fede lo sa: la fede ha a che fare più con la nostalgia, l’attesa, la fiducia che non con la soluzione di certi grossi problemi. Qui sta il confine sottilissimo, paradossale, che custodisce l’esperienza credente dall’accusa di chi vede nella religione solo una consolazione a basso costo. Certe domande, certi scandali che ci vengono continuamente richiamati da stampa, televisione e magari esperienze familiari non possono risolversi con qualche forma di mistificazione. Stanno lì, davanti a noi, dentro di noi e lavorano suscitando la domanda di sfida alla fede: in che cosa, in chi credi? Come è possibile conciliare la tua fede con quanto accade nel mondo?

Gesù non risponde con argomenti facili ed economici alla questione del male, delle sue ramificazioni e della sua potenza. La sua vera risposta sarà il silenzio della croce e la luce della risurrezione, ma anche la promessa di un definitivo che per ora ancora non possediamo. Per questo, quasi come se girasse pagina, Gesù scivola dalla fede al servizio, dalla domanda di senso alla pratica della vita che obbedisce all’attesa “inutile”, cioè senza tornaconto. Proprio perché la fede è esercizio della vita dentro questa cornice più grande, di cui non possediamo la chiave ultima. Qualcun altro aprirà la porta. Al credente spetta il compito di collaborare, aggiungere il suo contributo… mentre qui ed ora non si vede con chiarezza, non si capisce tutto e spesso ci si arrabbia, ci si delude, si vive la contraddizione dell’impotenza. Lì sorge lo spazio più autentico della fede. Chiedere che si accresca la fede significa dunque accettare di entrare in questo orizzonte: non per forza diventare più sicuri, più capaci di dominio su certezze religiose, ma esplorare e abitare questo spazio nuovo che sa di un progetto più ampio che sta reclutando operai, intelligenze, forze, preghiere e speranze. Per la forma della fede non basta la difesa dell’io, non serve guardarsi l’ombelico o “star bene con se stessi”.

Occorre vivere in una dimensione altra che rende un po’ eccentrici, un po’ strani rispetto alla normalità del mondo solo orizzontale. La fede e il suo accrescimento assomiglieranno di più all’atteggiamento della resilienza che, ci ricordiamo, era una delle parole-chiave al tempo del Covid; assomiglieranno di più a un lavoro paziente, che sa di costruire passo dopo passo qualcosa di grande. Come accadeva nel passato in cui magnifiche cattedrali, compresa quella di Cremona, erano erette in secoli di abnegazione e chissà quante persone iniziavano un lavoro di cui non avrebbero visto l’esito finale.

Luca ci consegna così una prospettiva strana, paradossale e vitale. Forse lontanissima da com’è, oggi, il nostro cuore.

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400