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MONTEVERDI FESTIVAL 2025

Ulisse è ognuno di noi, fragilità messa a nudo

Al Ponchielli il capolavoro del divin Claudio, la regia di Livermore ricca di richiami monteverdiani

Giulio Solzi Gaboardi

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redazione@laprovinciacr.it

14 Giugno 2025 - 08:37

Ulisse è ognuno di noi, fragilità messa a nudo

Una scena corale del Ritorno di Ulisse in patria. Sotto, Michele Pasotti sul podio(FOTOLIVE/Paolo Cisi)

CREMONA - «Il re è morto» scandisce Iro entrando dal fondo della platea e salendo di corsa sul palcoscenico. Una battuta aggiunta che apre un conflitto di senso. Non c’è niente di più falso: il re — Ulisse — in realtà è vivo, destinato a tornare in patria, a ripristinare l’ordine, a riprendere possesso della casa, del regno, dell’affetto del figlio e l’amore della moglie. Soprattutto, a riprendere possesso di sé stesso. A morire sono i proci.

A restare scottato è lo stesso Iro che festeggia la presunta morte del re e gode nel vedere torturata quell’Humana fragilità di cui lui stesso è testimone vivente. La lettura che Davide Livermore (che oltre a essere regista, torna in questa sede a vestire i panni del cantante, interpretando proprio Iro) fa del Ritorno di Ulisse in patria è la messa a nudo delle fragilità umane: la dedizione dell’attesa di Penelope; l’oscillazione tra eroismo e narcisismo del politropo Ulisse; il gioco degli dèi olimpici sulla pelle degli uomini; la ridicola prepotenza dei proci; lo squilibrio psico-fisico di Iro.

Come spesso — o sempre — accade con Monteverdi: tutto ci parla del nostro tempo. Ulisse non è ‘Nessuno’, ma ognuno di noi, in balìa della tempesta e dell’umana fragilità. La regia di Livermore ci porta sulle coste di una Grecia non ignota, dove campeggia, dipinta su un muretto, la scritta ‘Ulisse re!’, cancellata e sostituita con ‘Il re è morto’. Un omaggio a Mediterraneo di Gabriele Salvatores, cui è ispirato anche il personaggio stesso di Ulisse, calco evidente del sergente maggiore Nicola Lorusso, interpretato da Diego Abatantuono.

Ci sono poi rimandi al cinema realista di Rossellini e Visconti (La terra trema), ricorrenti nelle scene digitali realizzate dallo studio D-WOK, insieme agli altri elementi scenici curati da Eleonora Peronetti. Ma si riconosce anche tanta letteratura in questo spettacolo: quella Grecia brulla nasce coi classici, che Livermore conosce bene, e si perpetua in autori come Nikos Kazantzakis e Ghiannis Ritsos. La squadra di Livermore si completa con l’assistente Chiara Osella, i bei costumi di Anna Verde e Francesco Sartorio, le luci di Antonio Castro.

Davide Livermore è tornato a esibirsi dopo sedici anni

Centro nevralgico dell’intero spettacolo è l’Ulisse di Mauro Borgioni. Interprete di riferimento di questo repertorio, il baritono umbro disegna un Ulisse credibile ed emozionante. Fin dalla tirata d’ingresso, Borgioni costruisce un personaggio dal marcato slancio drammatico che riesce a restituire tutte le sfumature di un personaggio complesso come l’eroe itacense: sconsolato e confuso quando steso, naufrago, sulle rive di Itaca, giocondo e infantile nel riconoscere nel pastorello il volto di Minerva, pietoso e debole quando travestito da vecchio, fiero e spietato nel lottare con Iro e sterminare i proci, dolce e amante quando finalmente ricongiunto alla moglie.

Borgioni si conferma un fuoriclasse sia per presenza scenica sia sul piano vocale, dove la morbidezza del timbro e la limpidezza del fraseggio si coniugano all’assoluto dominio della parola. Grande attesa si era poi creata per il ritorno sulle scene, dopo sedici anni, di Livermore. Il suo Iro è una presenza costante in scena, un continuo memento delle vergogne umane, della povertà, della fame, della servitù. Sublime e grottesco si fondono e si alternano nel forgiare un personaggio esilarante nel vizio e straziante nel dramma umano.


Il resto del cast funziona nel complesso ma rivela alcune fragilità nei ruoli comprimari. Buona la prova di Margherita Sala come Penelope, sempre incisiva, e di cui va anche lodata la tenacia di salire sul palco malgrado un serio infortunio al polso causato da una caduta durante la prova generale. Sugli scudi anche la prova del Telemaco di Jacob Lawrence, che sconta tuttavia qualche difetto di pronuncia. Il cast si completa con Luigi De Donato, Giulia Bolcato, Cristina Fanelli, Arianna Vendittelli, Valentino Buzza, Chiara Osella, Francisco Fernández-Rueda, Alberto Allegrezza, Alena Dantcheva, Arnaud Gluck, Roberto Rilievi, Matteo Bellotto e Chiara Brunello.

La concertazione di Michele Pasotti, alla guida de La Fonte Musica, è rigorosa e improntata a una notevole attenzione formale. Il risultato è di una direzione dal sapore antico ma che non rinuncia a qualche respiro di libertà. Si produce in definitiva un effetto di alterità straniante che avvalora da una parte la contemporaneità di ciò che avviene in scena per contrasto alla filologia della buca. Si replica oggi alle 18.

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