L'ANALISI
29 Maggio 2025 - 05:15
Enrico Lo Verso in una scena dello spettacolo ‘Uno, nessuno e centomila’
SORESINA - Enrico Lo Verso è attore di cinema e tv ma rivendica una sua profonda natura teatrale, anzi nel teatro rivendica la possibilità di un dialogo con lo spettatore diretto, emotivamente coinvolgente e in grado di trasformare chi lo fa e chi vi assiste. Protagonista de Il ladro di bambini di Gianni Amelio, che a inizio anni Novanta gli diede la notorietà, l’attore è interprete di Uno, nessuno e centomila, dal romanzo di Luigi Pirandello, in scena domani alle 21 al Sociale, uno spettacolo fuori cartellone che merita attenzione.
Uno, nessuno e centomila con la regia di Alessandra Pizzi risale al 2017: lei come si spiega questa lunga tenitura?
«Con Alessandra Pizzi ho realizzato altri lavori come Apologia di Socrate e Metamorfosi altre storie del mito, ma certo Uno, nessuno e centomila è il lavoro che mi ritrovo a portare in scena con maggiore frequenza e che più mi si è cucito addosso, lo dico da siciliano».
Perché?
«La lingua, la tendenza di noi siciliani a filosofeggiare, dopotutto la Magna Grecia è una delle patrie del pensiero occidentale. Noi siciliani per natura e per necessità siamo tentati sempre di andare al cuore delle cose non per la voglia di cambiarle o di agire per modificare ciò che ci circonda, ma per il piacere, fine a sé stesso, di capire i segreti, l’intrinseco inesplicabile che c’è nella realtà che abitiamo. Diciamo, forse esagerando, che per nostra natura abbiamo una vocazione alla filosofia, all’ermeneutica, ovvero a trovare il vero nascosto nelle cose».
Ed è anche per questo che continua a portare in tour Uno, nessuno e centomila?
«Certo è un lavoro che mi appartiene, che è nel mio corpo. Lo spettacolo sta raggiungendo il decennale dal suo debutto eppure il personaggio di Vitangelo Moscarda ha qualcosa che ci appartiene, quel suo guardarsi allo specchio e non riconoscersi e chiedersi come gli altri ci vedono. In tempi di foto, selfie e moltiplicazione della nostra immagine, nella costruzione del nostro essere uno, nessuno e centomila c’è forse il fascino di questo romanzo, spero, del mio lavoro».
Un monologo che la vede in scena in un caleidoscopico mutar di ruoli di prospettive narrative?
«Per questo non utilizzerei il termine monologo, ma dialogo con diverse anime, diversi personaggio. Io realmente in questo lavoro sono Uno, nessuno e centomila e non solo perché interpreto tutti i personaggi del romanzo, ma perché cambio, dialogo col pubblico, mi trasformo e tutto grazie a un testo riadattato che permette un dialogo fra i personaggi interni alla vicenda, ma anche un dialogo con gli spettatori, un confessarsi e un confrontarsi sulle molteplici facce che ha il nostro vivere al mondo, le molteplici maschere che indossiamo a seconda delle situazioni sociali. C’è lo sguardo dell’altro su di noi che ci rende altri da noi stessi».
Una figura prismatica e a tratti inafferrabile?
«Forse in questo sta il bello del pensiero di Pirandello, e torniamo alla filosofia speculativa di noi siciliani. Ed è anche il fascino di questo lavoro che avrebbe dovuto avere vita breve, una stagione o due ed invece ci viene continuamente richiesto. C’è chi lo vede più e più volte e magari viene in camerino, alla fine, per dirmi cosa vi ha visto o notato di nuovo. Alessandra Pizzi mi dice che sui social va fortissimo, che i commenti degli spettatori sono sempre buoni e c’è grande interesse per il lavoro. Per tutta questa serie di ragioni e per la forza di ciò che va in scena continuo a portare in giro Uno, nessuno e centomila e ogni sera è un piacere l’incontro col pubblico e spero lo sia anche a Soresina».
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