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Diritto di critica: recensire, un gioco da ragazzi

Nel Ridotto la premiazione dell’iniziativa organizzata del giornale ‘La Provincia’ e da Fondazione Ponchielli

La Provincia Redazione

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22 Maggio 2025 - 10:04

Diritto di critica: recensire, un gioco da ragazzi

CREMONA - C’è chi aveva con sé il fratellino, chi mamma e papà, chi era sostenuto dai suoi docenti, chi da qualche amico. Sono i ragazzi che hanno vinto ‘Diritto di critica’, l’iniziativa, organizzata dal giornale ‘La Provincia’ e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, che chiede agli studenti delle scuole cremonesi di vestire i panni di cronisti teatrali e dire la loro su spettacoli di prosa, concerti, danza e opera lirica. Ieri nel ridotto del teatro Ponchielli si è tenuta la cerimonia di premiazione che ha concluso l’edizione 2024/2025 di Diritto di critica, iniziativa che vanta il patrocinio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro.


A dare il benvenuto ai ragazzi il sovrintendente del teatro, Andrea Cigni, il direttore del giornale, Paolo Gualandris, l’assessore alla cultura, Rodolfo Bona, l’assessore all’istruzione, Roberta Mozzi. Hanno partecipato al concorso 73 studenti, di questi in 31 hanno scritto almeno una recensione, sono 24 i ragazzi che hanno scritto tre o più critiche e partecipato alla selezione messe in atto dalla giuria composta dalla segreteria artistica del Ponchielli: Laura Seroni, Lorenzo Del Pecchia, Paola Coelli e Barbara Sozzi e del giornale «La Provincia», Nicola Arrigoni e Barbara Caffi.


Nei saluti di indirizzo il sovrintendente Cigni ha sottolineato il legame del teatro con la città e il lavoro che si sta facendo per il rinnovamento del pubblico. Il direttore Gualandris ha messo in evidenza come esercitare il pensiero critico sia un esercizio morale e civile, costituisca una modalità per acquisire soft skill che aiutano nelle relazioni con gli altri, contribuiscono a leggere il mondo senza accontentarsi di un unico punto di vista.


L’assessore alla cultura del Comune ha portato i saluti del sindaco Andrea Virgilio e osservato come l’attività culturale del Ponchielli sia un fiore all’occhiello per la comunità e lo sia anche nella determinazione con cui si fa promotore del rinnovamento del pubblico e della crescita culturale della città. L’assessore all’istruzione ha fatto i complimenti ai ragazzi, ma anche ai genitori che sostengono i ragazzi e ai professori che hanno il compito di far emergere talenti magari ancora inespressi. Per capire a cosa ci si riferisca, basta leggere gli articoli pubblicati qui di seguito, articoli dei tre vincitori, cui andrà in premio un abbonamento online del giornale e l’abbonamento alla prossima stagione 2025/2026.


A leggere le recensioni sono stati gli attori della Compagnia dei Piccoli, Mattia Cabrini, Maddalena Parma e Maria Antonietta Parrella. Per la stagione di prosa la recensione vincitrice è stata quella di Riccardo Gregorio (liceo Stradivari), la segnalazione è andata a Mattia Razetti (liceo Aselli). Segnalate anche le sorelle Ludovica e Caterina Premi (liceo Aselli). Lucrezia Finardi del Manin ha vinto per la sezione Danza, ad essere menzionato è stato il pezzo di Riccardo Martellosio (liceo Stradivari). Per la musica e l’opera si sono distinti Rebecca Vertova (liceo Aselli) e Matteo Ronchi (liceo Manin) che ha ottenuto la menzione. La recensione più votata sul sito del giornale La Provincia è stata quella di Giorgio Severgnini che ha ottenuto 2604 voti. L’appuntamento è per il prossimo autunno, per la quattordicesima edizione di Diritto di critica.

RICCARDO GREGORIO: «MORO, RICORDO E ACCUSE»

«I testi, se fatti rivivere, possono rivelare molto di più di ciò che siamo disposti a credere». Così Fabrizio Gifuni introduce il suo ‘esperimento’ Con il vostro irridente silenzio, presentato al teatro Ponchielli di Cremona il 26 marzo.
La drammaturgia, scritta e ideata da Gifuni, debutta il 9 maggio 2018 come evento unico e irripetibile. Col tempo, però, l’artista comprende che riproporlo può rendere i giovani spettatori «portatori sani di memoria», quella stessa memoria che molti dei contemporanei all’accaduto cercano di reprimere. Nel suo monologo, Gifuni fa rivivere le lettere di prigionia e le pagine del Memoriale di Aldo Moro, testi che raccontano la tragica condizione di un uomo privato della libertà, tra sentimenti privati, discorsi pubblici e questioni di Stato, i quali, secondo Gifuni, se divulgati all’epoca del sequestro, avrebbero anticipato di qualche lustro la celebre inchiesta passata alla storia come Tangentopoli.
L’impresa è complessa: la vicenda è ancora vicina nel tempo e dolorosamente condivisibile da chi, nato prima del 1978, ne conserva ricordi personali. L’attore si premura di premettere un’introduzione alla storia, ma i riferimenti disseminati lungo la performance sono variegati, e non riescono sempre a coinvolgere i più giovani, per cui il caso Moro è già storia, non più memoria.
La performance è esemplare. Gifuni diventa Moro, incarnandone disperazione, collera, rimorso e rassegnazione. Il ritmo è incalzante, scandito da movimenti, sospiri e pause. Le parole attraversano l’attore, lasciandolo sconvolto. La durata di 150 minuti senza alcuna pausa intermedia assume in questo caso un valore simbolico: così come Moro fu prigioniero dei brigatisti, così lo spettatore è ‘rapito’ dall’enfasi dell’attore, vivendo la sua tragedia con empatia ancora più profonda e sentita. Così, secondo la volontà dell’autore, lo ‘spettro’ di Moro torna, dopo una sepoltura tutt’altro che degna, per raccontarsi attraverso i corpi di chi lo ascolta. L’esito è potente: il pubblico è commosso, entusiasta. Gli applausi sono decisi e sentiti.

LUCREZIA FINARDI: «CARMEN, IL PREZZO DELLA LIBERTÀ»

Carmen: una storia immortale. Se cercate uno spettacolo alternativo, si consiglia caldamente: Carmen, un ballet de Gades y Saura, messo in scena dalla compagnia Antonio Gades. Una continua sorpresa, un’immersione nella cultura andalusa del flamenco accompagnata dalle musiche composte da Bizet.
Sin dal principio la figura di Carmen è stata rappresentata come una donna libera che farebbe di tutto per preservare la sua intoccabile indipendenza; come ha detto Gades «Carmen ha preferito morire piuttosto che perdere la sua, amata, libertà». Non bisogna aspettarsi la classica Carmen del racconto di Mérimée musicato poi da Bizet, ma, come la musica flamenca, è un continuo rincorrersi di ritmi che interpretano la profonda essenza del suo spirito libero: una donna ribelle e affascinante, saldamente connessa alla cultura gitana. Non si presenta, quindi, come una paladina dell’amore romantico, ma come una donna profondamente libera, consapevole delle conseguenze delle sue scelte che la consegneranno alla morte violenta. Pur avendo una scenografia essenziale che suggerisce la sala prove di una scuola di danza, come nei quadri di Degas, gli 80 minuti dell’atto unico, il susseguirsi di ballerini coinvolge in un’esperienza immersiva di espressione della cultura andalusa. La storia si costruisce intorno a Carmen e ai suoi numerosi spasimanti: Don José ossessionato dal suo fascino, il marito che non vuole rinunciare a lei e il Torero Lucas dal carattere arrogante e senza scrupoli. Per mano di Don José, accecato dalla gelosia e dal dolore del distacco del suo amore, Carmen viene assassinata. Proprio la sua morte la rende simbolo dell’emancipazione femminile come viene magnificamente espressa dalla melodia popolare del flamenco e dal battere ritmato, incessante e tonante dei tacchi Garrucha sull’assito del palco: la potenza espressiva del perfetto connubio delle sonorità delle voci maschili che si fondono con perfetto equilibrio contrastante attraverso il nervoso roteare delle dita sulle corde delle chitarre gitane rendono unica e caratteristica la fusione di velocità dei movimenti, l’espressività delle parole, suoni e passi di danza ogni volta sempre più dinamici e incalzanti costruendo uno spettacolo che coinvolge con passione il pubblico.
Il richiamo con i fatti di attualità è forte e sembra che nulla sia cambiato in quasi due secoli.

REBECCA VERTOVA: «DARE ANIMA ALLA MUSICA»

Frank Peter Zimmermann incanta Cremona: un viaggio musicale tra classicismo e modernità. La sera del 14 febbraio, il Ponchielli ha ospitato un concerto straordinario, con il violinista Zimmermann e il pianista Dmytro Choni protagonisti di un programma che ha intrecciato tradizione e innovazione, evocazione simbolica e sperimentazione formale. Zimmermann, con una maestria assoluta, ha saputo trasformare ogni nota in pura emozione, incantando il pubblico con un’esecuzione che trascendeva la semplice tecnica per diventare esperienza sensoriale totale. Il suo violino, lo Stradivari Lady Inchiquin del 1711, sembrava avere una voce propria, capace di raccontare storie profonde e misteriose. Bastava chiudere gli occhi per essere trasportati in un’altra dimensione, quasi sull’Olimpo della musica, dove il tempo e lo spazio si dissolvevano nell’intensità del suono. Il programma, costruito come un dialogo tra epoche e linguaggi diversi, ha visto nella prima parte un confronto tra le Variazioni di Schubert e i Tre Poemi di Szymanowski. Se il primo manteneva una malinconica eleganza, il secondo si è rivelato un turbine simbolista, pieno di tensione e pathos. L’acqua, tema ricorrente, si è fatta metafora di passione e turbamento, tra le onde gentili di Schubert e le correnti impetuose di Szymanowski. Nella seconda parte, le Sonate op. 120 di Brahms hanno svelato un romanticismo frammentato e profondo, mentre la Seconda Sonata di Bartók ha spinto il pubblico verso un universo più astratto e sperimentale, in un gioco ritmico ipnotico ed estatico. Il violino e il pianoforte, più che dialogare, sembravano rispecchiarsi l’uno nell’altro, inseguendosi tra tensione e rilascio, tra ombra e luce. La platea ha trattenuto il fiato per l’intera durata del concerto, per poi esplodere in un applauso travolgente nel finale. Zimmermann ha dimostrato, ancora una volta, perché è considerato uno dei più grandi violinisti del nostro tempo: non solo per la sua precisione impeccabile, ma per la capacità di dare anima alla musica, trasformandola in un’esperienza mistica e indimenticabile.

GIORGIO SEVERGNINI: «ATTIMI DI (IN)FELICITÀ»

Mercoledì sera al teatro Ponchielli è andato in scena lo spettacolo di prosa Momenti di trascurabile (in)felicità, tratto dall’omonimo libro di Francesco Piccolo e dal film di Daniele Luchetti. In scena sono presenti unicamente due leggii, dai quali i due attori, lo stesso Piccolo e Pif, esprimono i propri momenti di trascurabile felicità e/o infelicità. Si tratta di attimi e situazioni tipici della quotidianità di ognuno di noi, di gesti e atteggiamenti che abbiamo e che facciamo, talvolta anche inconsapevolmente. In particolare, nei loro monologhi, alternandosi, si soffermano su aspetti presenti nella vita di tutti noi, esponendoli al pubblico uno dopo l’altro e, soprattutto, in chiave comica e ridicolizzante: Piccolo esordisce con il racconto di una tipica festa di compleanno di bambini piccoli, durante la quale i genitori esausti, proprio nel momento in cui vorrebbero andarsene, vengono trattenuti dalla famosa frase ‘c’è la torta!’. Segue il racconto dell’inutilità dei regali di Natale: secondo Piccolo, tutti affermano con allegria ‘che bello il regalo!’, anche se nessuno ha capito di cosa si tratti. Dopo che quel regalo è utilizzato in ogni maniera possibile, alla fine viene impiegato per aprire il regalo del Natale successivo.
Invece, Pif si è soffermato maggiormente su brevi e divertenti interrogatori, reali, ma che l’abitudine ci ha strappato, come «perché il benzinaio ci dice sempre di andare un po’ più avanti dopo che la macchina si è già fermata?» o «come fanno le strisce del dentifricio Aquafresh a rimanere sempre separate?» o ancora «a cosa serve il taschino sui pigiami? Qualcuno l’ha mai usato?», «perché i preti sfogliano sempre avanti e indietro il messale, tenendo mille segnalibri?». E il gran finale è stato quando, a spettacolo terminato, Pif è sceso in platea a domandare qualche momento di trascurabile infelicità del pubblico; per caso, un simpatico e coraggioso sacerdote ha dichiarato che proprio quella mattina aveva sbagliato a leggere una sequenza sul messale, poiché non aveva preso il segnalibro corretto.
Momenti di trascurabile (in)felicità è stato uno spettacolo molto divertente e coinvolgente, impreziosito dall’atmosfera informale e ridicola creata dai due efficacissimi attori.

Francesco Piccolo

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