L'ANALISI
IL COMMENTO AL VANGELO
06 Aprile 2025 - 05:20
In quel tempo, Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro.
Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo.
Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani.
Lo lasciarono solo, e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va' e d’ora in poi non peccare più».
(Gv 8,1-11)
L’ultima tappa quaresimale, prima del grande e drammatico affresco della domenica delle Palme, chiede aiuto a Giovanni. La cornice del brano è solenne: siamo nel Tempio di Gerusalemme, il luogo-cardine dell’esperienza spirituale degli Ebrei, almeno sino al 70 d.C., quando inizierà con la distruzione per mano romana la diaspora ebraica e gli Ebrei diventeranno giocoforza “religione del Libro” e della sinagoga, sparpagliati in diaspora per il mondo sino al 1948. Nel Vangelo di Giovanni Gesù instaura con il tempio un rapporto intenso, a doppio filo: lo frequenta molto, continua a fargli visita e a stare nel luogo più simbolico della fede di Israele… perché l’evangelista pretende di dirci che il vero tempio in realtà è la carne del Figlio, quel Gesù che la lettera agli Ebrei definirà come il sacerdote, il sacrificio e l’altare.
Per questo nel tempio fatto di pietra si consuma un dissidio attorno alla legge, la Torah sacra agli Ebrei, usata (ed abusata) addirittura perché emergano chiari capi di imputazione contro Gesù. La lapidazione era davvero reclamata dalla Legge: una soluzione drastica, capace di custodire una moralità pubblica che doveva mantenere in modo ferreo un equilibrio sociale. Fatalmente patriarcale. Gesù approfitta per legare il peccato non tanto alla punizione, quanto al riconoscimento di una condizione comune: chi è senza peccato. Ora le pietre cadono, una ad una, perché è mutato l’ordine di ingaggio. E possiamo davvero immaginare senza troppa fatica la violenza della scena che Giovanni evoca. Una donna gettata nel mezzo, in terra. In aperto contrasto con la solennità del luogo, quasi a rimarcare la differenza tra una santità alta, imponente e la miserabilità di una peccatrice. Gesù sta al suo livello, in terra e scrive.
L’adultera va punita? Va addirittura lapidata? Secondo la legge ebraica certo che sì: il suo peccato sventato pubblicamente non lascia appello. Le pietre sono pronte. Il patibolo sociale pure. E ci immaginiamo questi uomini pronti a scaraventare a distanza grossi massi su di un corpo, senza nemmeno toccarlo. Un gesto efferato, efficace e diabolico, eppure richiesto dall’ordine sociale, con tanto di timbro di autorità costituita. Gesù non interviene subito. Sembra chinare il capo e portare all’estrema conseguenza la durezza della scena.
Intanto scrive. Che cosa mai avrà scritto? I peccati di quegli accusatori? Avrà solamente preso tempo? Non sappiamo. Forse una nuova edizione della Torah, un nuovo testo sacro di cui non serve la materialità scritta, perché destinato ora al cuore, alla vista, ad un nuovo impiego delle energie vitali. Perché non pensare che in termini molto simbolici Gesù abbia scritto, o riscritto, la Legge stessa, orientandola a quello che di lì a poco avrebbe proclamato: la sua verità non sta nell’essere un confine invalicabile e punitivo, coercitivo, ma nel suo evocare, pretendere, difendere la vita, la sua eccedenza, la sua sacralità. Proprio come argomenta bene Recalcati nel suo ultimo testo Psicanalisi e Vangelo. Gesù riesce in poche battute a disarmare la rabbia e la determinazione degli uomini presenti, facendo leva su ciò che tutti portiamo nel cuore: la coscienza di non essere perfetti, di non poterci arrogare il diritto sulla vita altrui in ragione di una nostra superiorità. Il maestro qui davvero riesce a far emergere l’umanità più profonda e vera, sfidandola per quella che è. Non ingaggia una discussione sull’opportunità o la legittimità della lapidazione, ma sposta più a monte il livello del confronto.
Ora ad importare è solo una cosa: chi ha in mano le pietre è poi così diverso da quella donna. E dunque chi si potrebbe a buon diritto salvare? Così culmina la Quaresima che Luca e Giovanni ci propongono di attraversare e fare nostra: dentro il “di più” dell’amore di Dio che sa andare oltre, e sa non chiedere il sacrificio di nessuno. Anzi si farà lui stesso sacrificio per rendere sacro l’umano, soprattutto se marginale e fragile. Che Vangelo poter chiudere la Quaresima arrivando alle soglie della Domenica delle Palme con un gesto profondamente giubilare come quello che Gesù compie sull’adultera: nessuno ti ha condannata… nemmeno io… va’… non peccare più. Quanta forza di libertà! Quale autorizzazione a vivere per chi la condizione e il peccato avevano inchiodato all’uso pervertito e distorto della cosa più bella dell’umano, l’amore.
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