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#DIRITTODICRITICA: 'Con il vostro irridente silenzio', la recensione

Nuovo appuntamento con l'iniziativa organizzata dal giornale La Provincia e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli

La Provincia Redazione

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04 Aprile 2025 - 10:49

#DIRITTODICRITICA: 'Con il vostro irridente silenzio', la recensione

CREMONA - Torna l'appuntamento con #DIRITTODICRITICA, l'iniziativa organizzata dal giornale La Provincia e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, che offre agli studenti delle scuole cremonesi la possibilità di esprimere il loro giudizio motivato e argomentato sugli spettacoli in cartellone al Ponchielli. Protagonista di questo appuntamento è 'Con il vostro irridente silenzio' di Fabrizio Gifuni.

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«I testi, se fatti rivivere, possono rivelare molto di più di ciò che siamo disposti a credere». Così Fabrizio Gifuni introduce il suo "esperimento" Con il vostro irridente silenzio, presentato al teatro Ponchielli di Cremona il 26 marzo.
La drammaturgia, scritta e ideata da Gifuni, debutta il 9 maggio 2018 come evento unico e irripetibile. Col tempo, però, l’artista comprende che riproporlo può rendere i giovani spettatori “portatori sani di memoria”, quella stessa memoria che molti dei contemporanei all'accaduto cercano di reprimere. Nel suo monologo, Gifuni fa rivivere le lettere di prigionia e le pagine del Memoriale di Aldo Moro, testi che raccontano la tragica condizione di un uomo privato della libertà, tra sentimenti privati, discorsi pubblici e questioni di Stato, i quali , secondo Gifuni, se divulgati all’epoca del sequestro, avrebbero anticipato di qualche lustro la celebre inchiesta passata alla storia come Tangentopoli.
L’impresa è complessa: la vicenda è ancora vicina nel tempo e dolorosamente condivisibile da chi, nato prima del 1978, ne conserva ricordi personali.
L’attore si premura di premettere un’introduzione alla storia, ma i riferimenti disseminati lungo la performance sono variegati, e non riescono sempre a coinvolgere i più giovani, per cui il caso Moro è già storia, non più memoria.
La performance è esemplare. Gifuni diventa Moro, incarnandone disperazione, collera, rimorso e rassegnazione. Il ritmo è incalzante, scandito da movimenti, sospiri e pause. Le parole attraversano l’attore, lasciandolo sconvolto.
La durata di 150 minuti senza alcuna pausa intermedia assume in questo caso un valore simbolico: così come Moro fu prigioniero dei brigatisti, così lo spettatore è “rapito” dall’enfasi dell’attore, vivendo la sua tragedia con empatia ancora più profonda e sentita.
Così, secondo la volontà dell’autore, lo “spettro” di Moro torna, dopo una sepoltura tutt’altro che degna, per raccontarsi attraverso i corpi di chi lo ascolta.
L’esito è potente: il pubblico è commosso, entusiasta. Gli applausi sono decisi e sentiti.

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