L'ANALISI
08 Marzo 2025 - 09:14
CREMONA - Concerto di alto livello tecnico quello di ieri sera al Ponchielli. Protagonisti il pianista Pietro De Maria in testa a un ensemble di fiati composto da Francesco di Rosa (oboe), Alessandro Carbonare (clarinetto), Guglielmo Pellarin (corno), Andrea Zucco (fagotto). Programma audace di scoperta del repertorio cameristico meno noto di Haydn, Mozart e Beethoven, e in particolare dei quintetti per fiati e pianoforte degli ultimi due. Un concerto la cui riuscita è da attribuire principalmente a due fattori. In primis, la riuscita creazione (o, meglio, ricreazione) di un’atmosfera pienamente cameristica. È evidente che i pezzi proposti non siano stati pensati per una sala grande come quella del teatro Ponchielli, e d’altro canto — sarà l’atmosfera raccolta, saranno le luci soffuse — in teatro si è creato un ambiente favorevole a questo repertorio dal tono piccino ma dall’emotività immensa.
Il secondo motivo di successo è sicuramente l’alto livello tecnico degli esecutori. Tassello imprescindibile ma di per sé non sufficiente a garantire l’esito felice di una serata. Da questo punto di vista, il risultato è alterno. Pesa, come dimostra qualche poltrona vuota, la rarità del programma, votato a una riscoperta di repertori cameristici secondari di grandi autori. Certo, l’occasione è ghiotta per ascoltare — soprattutto nel caso dei due quintetti per fiati — pezzi semi sconosciuti di grandi musicisti aderenti a una fase compositiva ben precisa. Nello specifico, il motivo di interesse maggiore ricade sul Beethoven del Quintetto in mi bemolle maggiore, trionfo e al contempo capitolo conclusivo della sua esperienza neoclassica ancorata alla tradizione.
Ancora più straniante se accostato a un’esecuzione quanto mai passionale — qui molto bene De Maria — della Sonata n.14 op.27 (Al chiaro di luna, secondo tradizione), il cui tono liederistico oscilla tra crepularismo e slancio impetuoso in piena proiezione della dinamica romantica. Si diceva: tanta tecnica. Questo non sempre a scapito della resa emotiva. Il Quintetto di Beethoven si trova in buon equilibrio tra toccante sentimentalismo e simmetria esecutiva. A patire di più è forse il Quintetto in mi bemolle maggiore K 452 di Mozart, dove non si registrano momenti di grande interesse se non nella ricerca di più marcate tensioni nel Larghetto centrale.
A intrecciare i due quintetti, due pezzi per pianoforte solo con De Maria protagonista. Il primo è la Sonata n.34 di Haydn, di cui non si può che sottolineare la resa impeccabile. Alla Sonata quasi fantasia di Beethoven, successivamente, De Maria riesce a conferire un senso di rinnovato dinamismo emotivo nel segno di un’esecuzione filologica che non si scolla eccessivamente dalla tradizione esecutiva di un brano arcinoto.
Dell’ensemble di fiati non si può che dir bene. Omogeneità di suono senza sovrapposizioni (anzi, splendido è l’equilibrio strumentale) con una pregevole ricchezza di sfumature. Pubblico non numerosissimo ma compensato da tanto entusiasmo in sala soprattutto nella seconda parte del concerto (non a caso la più riuscita della serata), tutta all’insegna del ‘buon vecchio Ludovico Van’.
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