L'ANALISI
06 Marzo 2025 - 11:04
CREMA - Sono di Crema e sono una band di death metal in grande ascesa. Sono i Genus Ordinis Dei che stanno salendo, grandino dopo gradino, la scala del successo e della popolarità non solo nazionale, ma anche internazionale. Un’ascesa che che la band si sta costruendo con la creatività degli album pubblicati e con una professionalità e una cura dei particolari difficile da riscontrare in altre formazioni italiane. Per questo la band sta facendo anche da ‘officina del metal’: quando i Lacuna Coil – band tricolore di fama internazionale – hanno avuto la necessità di sostituire batterista e bassista si sono rivolti ai Genus Ordinis Dei per il passaggio di Richard Meiz dietro le pelli e Steven F. Olda al basso. E l’occasione per apprezzare i Genus Ordini Dei sarà sabato al Music Factory (Cremona, via Dritta) dalle 21 con Necrofilia e Warmblood. Intanto l’ultimo periodo ha portato ai G.O.D. un altro notevole carico di soddisfazioni.
«Dal Metal For Emergency a Filago del 2023 — dice Nick K, chitarra e voce della band — la nostra attività si è intensificata: siamo stati headliner allo storico Rock in Somma, con una grande accoglienza da parte dei fan e un’organizzazione perfetta da parte dello staff. È stato molto emozionante. Sentiamo la vicinanza dei fan italiani che ci sta riempiendo il cuore e ci fa sentire sempre a casa. E non è scontato, soprattutto perché la realtà heavy metal in Italia non è come in Germania o in Scandinavia, dove il nostro genere è più inserito nei contesti musicali e ci sono agenzie specializzate, case discografiche e professionalità superiori dedicate proprio al metal. In Italia tutto questo non c’è, però c’è una grande scena underground e tantissimi fan. L’Italia ha sempre vissuto di cantautorato e pop e non è facile fare metal in un territorio ‘monopolizzato’ da altro».
Nonostante le difficoltà, state facendo passi da gigante e state diventando il ‘laboratorio metal’ per altre band dopo il passaggio di batterista e bassista ai Lacuna Coil.
«È un punto che mi sta molto a cuore. Mi sono reso conto che la nostra band è considerata, anche da formazioni più importanti, un orto da cui raccogliere frutti maturi e da cui prendere spunto e ispirazione. So che molti nell’ambiente ci guardano come punto di riferimento non solo musicale, ma anche dal punto di vista strutturale».
State facendo scuola?
«Sì, grazie al nostro profilo. Io, per esempio, ho la mentalità da coach, probabilmente ereditata da mio padre (Adriano Cadregari è allenatore di calcio, allievo di Zeman, e istruttore a Coverciano, ndr), e suonare in una band è uno ‘sport di squadra’. Abbiamo fatto tante cose belle, pubblico e addetti ai lavori ce lo riconoscono, al di là dei numeri. Ma anche altre band ci riconoscono il lavoro fatto. Tornando ai Lacuna Coil, hanno visto la bontà di tutto questo, utilizzando anche i nostri fonici, la crew e l’equipaggiamento per i live».
Si è mai chiesto come è potuto accadere tutto questo? Cosa avete in più degli altri?
«Richard e Steven, per esempio, sono stati scelti perché sono stati visti all’opera dai Lacuna Coil, che hanno constatato di avere di fronte due musicisti pronti e formati per palcoscenici internazionali. Far parte di una band significa avere due livelli di atteggiamento: uno umano e l’altro professionale. Capita che grandi musicisti arrivino tardi alle prove o non sappiano organizzare il proprio tempo, mentre invece musicisti mediocri siano affidabili e sappiano gestire un sacco di cose. Richard e Steven erano già formati a 360 gradi e i Lacuna Coil li conoscevano su entrambi i fronti. Inoltre credo che i Lacuna Coil abbiamo fatto questa scelta anche per un altro motivo. Sono una band che arriva dagli anni ’90 quando l’industria discografica era ricca e ti permetteva di fare solo il musicista senza pensare agli altri aspetti. Il musicista aveva a disposizione un team di professionisti e lui doveva solo comporre e suonare. Oggi con internet è cambiato tutto e non sono stati pronti a questo cambiamento, mentre i più giovani l’hanno vissuto e si sono preparati e adeguati. I Lacuna Coil si sono resi conto che avevano bisogno di un certo rinnovamento con persone che capissero il nuovo mondo della musica».
Quindi avete fatto questo step, diventando professionisti soprattutto nella testa.
«Sì, tante band non si sanno proporre e non considerano i vari aspetti del mondo musicale. Diffido sempre dei musicisti che cercano alibi, che ‘la colpa è sempre degli altri’, perché se si continua a cercare un capro espiatorio non si va da nessuna parte. Ognuno si deve prendere le proprie responsabilità».
Adesso, quindi, siete rimasti in due nella band?
«Dei membri fondatori siamo rimasti Tommy e io. Inoltre il nuovo batterista Nicola Pedrali è entrato nella band a pieno titolo come ‘socio di minoranza’. Infine abbiamo instaurato una collaborazione con il bassista cremonese Danilo ‘Dan’ Arisi. Una cosa che non abbiamo ancora ufficializzato è che a volte ci siamo ritrovati in tre a suonare e questa formula ‘alla Motorhead’ ci ha ispirato sotto vari aspetti. Non siano ancora certi, ma credo che nel nostro futuro la strada da percorrere sia quella della formazione a tre».
Prossimi progetti?
«Abbiamo pubblicato il 15 novembre scorso il nostro nuovo singolo ‘Eternal Cycle’ con la cantante degli Xandria Ambria Vourvahis nei panni di ospite. È un progetto a se stante, ma siamo al lavoro sul nuovo album e, per ora, posso annunciare che ci saranno delle grandi sorprese».
In che modo ha avuto a che fare con il film di Luca Guadagnino ‘Chiamami con il tuo nome’ girato in gran parte a Crema?
«Ho dato lezioni di chitarra a Timothéè Chalamet, soprattutto nell’impostazione. Nella produzione del film ci lavorava Daniela, una nostra fan con cui avevamo collaborato per alcuni progetti. Quando Guadagnino ha avuto bisogno di girare alcune scene con Chalamet alla chitarra e dare credibilità alle scene, Daniela ha fatto il mio nome. Mi hanno convocato in produzione, ho fatto un colloquio e mi hanno preso».
Che persona è nel privato?
«Era molto giovane, molto bravo sul set e la produzione aveva già capito che sarebbe diventato un grande attore. L’ho trovato simpatico, umile, disponibile, ma con una certa distanza e solitudine interiore, anche perché era lontano da casa – spesso veniva suo papà a trovarlo – e forse sentiva il peso delle aspettative che c’erano su di lui. Ama il rap più che il rock e quando è stato candidato all’Oscar ho cercato di contattarlo per complimentarmi, ma ormai era diventato una star e quindi blindato dal suo management. Ho saputo, però, che quando è stato ospite della trasmissione di Fabio Fazio si è ricordato di me e mi ha nominato».
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