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AL TEATRO PONCHIELLI

Carmelo Rifici: «Feydeau, la comicità ha i tempi perfetti»

Intervista al regista teatrale che metterà in scena ‘La pulce nell’orecchio’, mercoledì 26 e giovedì 27 febbraio

Nicola Arrigoni

Email:

narrigoni@laprovinciacr.it

25 Febbraio 2025 - 05:10

Carmelo Rifici: «Feydeau, la comicità ha i tempi perfetti»

CREMONA - Una sfida, divertentissima, ma pur sempre una sfida che può far venire i brividi, che diverte e, forse, in tante risate, alla fine qualche brivido lungo la schiena, inaspettato, lo potrebbe far scorrere. La pulce nell’orecchio di Georges Feydeau, in scena domani e giovedì al Ponchielli (ore 20.30), promette due ore e passa di energia, di comicità, un’iniezione di leggerezza che non guasta, affidata a uno spettacolo colorato e con un cast di attori che si spendono l’impossibile.

Tutto parte dalla scoperta di un paio di bretelle e dal presunto tradimento coniugale. Ciò basta per dar vita a una serie di scambi di persone, equivoci, giochi al limite dell’assurdo nella cornice di un hotel in cui il gioco è il tratto distintivo. A mettere in scena La pulce nell’orecchio è Carmelo Rifici, regista colto e raffinato che ha accolto la sfida di Feydeau: «In Italia le pièces bien faites e i vaudeville sono spesso e volentieri appannaggio di un teatro di puro intrattenimento, un teatro provato e di consumo. In realtà Feydeau e gli autori del vaudeville fanno parte del repertorio della Comédie Française. Mi sono chiesto se non fosse possibile cercare di lavorare in profondità sul comico».

In che modo?
«Partendo dalle didascalie di Feydeau che sono didascalie articolatissime. Descrivono esattamente come devono essere gli ambienti, sono parti integranti della storia, del meccanismo di una commedia che funziona, di una macchina comica che non può essere toccata».

E cosa ne ha fatto?
«Ho pensato di decostruire la cosa. Ho chiesto al vostro concittadino e mio scenografo, Guido Buganza di costruire dei grandi cubi di gommapiuma che contribuiscono di volta, spostati dagli attori, a costruire i diversi ambienti scenici. Tutto ciò fa si che si sviluppi scenicamente il gioco intrinseco al meccanismo della commedia. Ma al tempo stesso quelle costrizioni sono instabili, rischiano di disfarsi e di essere altro, sono imprevedibili».

Sembra quasi una contraddizione in un meccanismo comico che si vuole perfetto nel suo farsi. C’è qualcosa che non tiene e che mette in bilico tutto?
«Si tratta della fragilità propria del gioco che si basa su regole e azioni che basta un nonnulla per infrangere. Ecco ho voluto che i personaggi e gli attori si nutrissero del gioco infantile che un tempo ci poneva davanti all’armadio di mamma e papà, si tiravano fuori i vestiti, ci si trasformava e si diveniva altro da noi. Questo è il gioco del teatro e questo gioco è in Feydeau con una macchina da guerra in cui in gioco ci sono la lingua, le relazioni e la possibilità di capirsi e comprendersi».

Cosa intende dire?
«Ogni personaggio ha una sua modalità espressiva, ha una sua vera e propria lingua. Il linguaggio di Feydeau è prepotente, tendente alla caricatura. I personaggi non si capiscono tra di loro in quanto ognuno è caratterizzato da una propria ‘lingua teatrale’. Un esempio su tutti è Camillo, personaggio che, non avendo il palato, non riesce a pronunciare le consonanti ed è costretto ad esprimersi solo con le vocali, dando vita a una serie di equivoci non privi di conseguenze».

In tutto ciò i personaggi sono coloratissimi, tutti molto caratterizzati dai costumi come dalla recitazione.
«Ho chiesto alla costumista Margherita Baldoni di creare abiti che non avessero una precisa connotazione temporale, in cui coesistessero diverse epoche, che fossero abiti e costumi, in cui la finzione e il gioco avessero la meglio. Tutto questo in sintonia con la lingua diversificata di Feydeau ma anche con una consapevolezza che dietro quel meccanismo del gioco si celi qualcosa d più profondo e un poco inquietante. Il richiamo alla follia è costante e ha costituito una sorta di porta di ingresso per fare emergere ciò che è presente nei grandi autori comici di tutti i tempi».

Per fare emergere tutto questo quale atteggiamento ha assunto?
«Ho cercato di rispettare la vocazione del testo, consapevole che la caricatura è un’arte serissima che necessita di un pensiero; significa caricare qualcosa che conosci nei colori e nel significato, evitando la psicologia, ma anche la parodia. Consapevole di ciò, ho chiesto agli attori di rispettare i tempi e ritmi matematici dettati da Feydeau, dando vita ad una ‘maschera’ pertinente, senza mai perdere quel respiro capace di svelare i lati più sinistri e macabri della commedia. Come le grandi commedie di Molière e Goldoni, infatti, anche le commedie di Feydeau scivolano, di tanto in tanto, in un’inquietudine esistenziale dalla quale, però, l’autore cerca ogni volta di fuggire».

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