L'ANALISI
A 80 ANNI DALLA FINE DELLA GUERRA
06 Gennaio 2025 - 05:15
Gian Carlo Corada e un'immagine della liberazione piacentina
CREMONA - È morto vent’anni fa, Fausto Cossu. Sardo d’origine, carabiniere per scelta, soldato in Jugoslavia con l’esercito italiano e, dopo l’8 settembre, prigioniero dei tedeschi, Cossu riesce a fuggire dal campo di concentramento in cui è rinchiuso e raggiunge fortunosamente la Val Luretta, nel Piacentino. La sua storia è simile a quella di migliaia di carabinieri che, dopo l’armistizio, scelsero la clandestinità e la Resistenza anziché sottostare agli ordini dell’occupante tedesco e dei repubblichini fascisti.
«Fausto Cossu colse appieno l’opportunità che la situazione offriva alla lotta antifascista - spiega Gian Carlo Corada, storico e presidente provinciale dell’Anpi, che a Cossu ha dedicato una ricerca -. Dal luogo (la Sanese, una piccolissima località montana) in cui, con pochi compagni carabinieri, si era rifugiato, prese contatti con le Stazioni dell’Arma della zona, soprattutto quelle della Val Tidone e della Val Trebbia ma anche in pianura, e convinse molti a disertare dalla Repubblica di Salò e unirsi a lui. Raccolse così un buon gruppo di sottufficiali e carabinieri. Male armati ma ben organizzati, già a fine gennaio del 1944 riescono a respingere un attacco nazifascista. Costituiscono la Compagnia Carabinieri Patrioti, una formazione militare che si distingueva per le caratteristiche militari dell’addestramento e della disciplina».
È a questo gruppo - diventato ben presto una Divisione - che si aggregano una trentina di partigiani cremonesi, in particolare castelleonesi, ma anche di Soresina e Casalbuttano e qualcuno di Cremona. La loro era la brigata dei cremonesi e tra loro c’erano Serafino Corada e Renato Gandini. Il più giovane era Elia Ruggeri, 18 anni appena, un ragazzo di famiglia migliolina, cresciuto tra l’oratorio e un ambiente dove si respirava (di nascosto) un’aria di vivace cattolicesimo democratico e sociale. Era arrivato alla Sanese - nel casolare che Cossu aveva scelto come rifugio per i suoi - in bicicletta nell’estate del 1944.
E proprio in quell’estate la Divisione di Cossu assume il nome di Divisione Giustizia e Libertà e come tale compie, nei mesi successivi, alcune azioni particolarmente ardite lungo la via Emilia e nelle città. Dopo l’autunno, però, i tempi della liberazione si allungano. Fu un inverno freddissimo, quello del ’44. La neve continuava a cadere, la temperatura era spesso sotto lo zero anche di giorno. Gli Allati sono arenati lungo la linea gotica e il generale inglese Harold Alexander ha addirittura invitato le forze partigiane a sospendere le operazioni di guerra, come se fosse stato possibile per coloro che i nazifascisti consideravano ‘banditen’ tornare a casa.
È in quell’inverno spietato che tedeschi e repubblichini organizzano uno dei più feroci rastrellamenti del tempo di guerra. Cercano disertori, renitenti alla leva, partigiani, soldati alleati che hanno sfondato la linea del fronte, ma trovano soprattutto civili. Dall’Oltrepò pavese alla provincia di Piacenza, la caccia all’uomo - e alle donne, stuprate a centinaia - vede protagonisti i ‘mongoli’: armeni, azeri, georgiani, turkmeni, reclutati fra i prigionieri di guerra e i disertori dell’Armata Rossa, tutti inquadrati nella 162ª Divisione di fanteria Turkmenistan. Considerati carne da macello dai tedeschi, consideravano carne da macello le persone che perseguitavano.
La memoria della crudeltà dei mongoli è aleggiata a lungo nelle valli teatro della loro azione. «Le perdite fra i partigiani furono notevoli e la storia dei Carabinieri Patrioti sembrò terminare - ricorda Corada -. In realtà, la Divisione combatté con coraggio e con i Carabinieri in prima fila si ricostituì, crebbe fino a raggiungere circa duemila componenti, si trasformò nella ancor più inclusiva Divisione Piacenza, proseguì la lotta fino alla vittoria». Saranno loro a liberare Piacenza il 28 aprile del 1945 e a sfilare trionfanti, pochi giorni dopo, per le strade della città. Cossu sarà per un breve periodo questore di Piacenza, poi farà l’avvocato, sempre coerente con gli ideali che avevano animato i carabinieri patrioti della sua giovinezza.
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