L'ANALISI
22 Dicembre 2024 - 05:10
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto».
(Lc 1,39-45)
L’anno liturgico è come un insegnante: conduce a scoprire, apre porte e piste, richiama alla memoria… a volte rimprovera e sollecita a “ripassare”, ovvero a rimettere al centro dell’attenzione ciò che si è un poco perduto nella nebbia. L’Avvento che sta per concludersi, con i suoi accenti apocalittici ed il suo insistente ricorso all’invocazione “vieni!”, ha avuto forse il merito di richiamare il nostro sguardo sulle dinamiche più grandi e difficili di questa nostra storia: l’anelito alla giustizia, il grido dei poveri, la forma sostenibile della speranza, la fede in un ritorno che non avrà nulla di spettacolare, ma tutto di giusto e liberante.
Anche per chi non frequenta o non condivide la fede cristiana, l’indole dell’Avvento fa solo bene: perché per tutti si tratta di sguardi da rinnovare e prospettive da non perdere, in ragione dell’umanità di ciascuno di noi. Ora questa preziosissima pedagogia sta per concludersi e nella sua struttura interna (un intreccio continuo tra la prima venuta di Gesù nella carne e l’ultima, definitiva nella gloria) ci riporta ai gesti, ai sentimenti e al turbamento di chi, duemila anni fa, ha vissuto l’attesa. Perché quanto viene narrato nei Vangeli ha a che fare con un evento carico di conseguenze. Agli evangelisti interessa certamente lo stile di Elisabetta, piuttosto che la comparsa dei Magi… ma per loro il nucleo più prezioso sarà sempre da cercare nella vita di quel bambino diventato grande, nelle sue scelte e nella sua capacità di morire per i propri amici e per un’umanità priva di speranza. Gli spostamenti, le ansie, le paure e le frette di cui si anima il Vangelo che oggi è letto nelle chiese, anticipano lo sconvolgimento che quella persona avrebbe portato nella storia: Luca mette in scena l’agitarsi di tanti soggetti, animati da speranza e fede, ma anche da paure e da pregiudizi, che ruotano attorno al nascituro. Un po’ come accadrà alla fine… spesso in direzione contraria, quella della fuga e dell’abbandono.
Ed anche il presepe, quello evocato dai vangeli dell’infanzia e quello che magari abbiamo installato nelle case, sui posti di lavoro e in altri spazi sociali, presto si animerà di personaggi più o meno vicini, comunque tutti in cammino: concentrati sul proprio lavoro, quasi ignari che qualcuno venga ancora al mondo, oppure preoccupati che una nuova vita così singolare possa spodestare il potere dietro cui si trincera. Sarà l’irruzione della novità che ha il potere quasi magico di azzerare le preoccupazioni, infondere nuovamente linfa vitale e aprire gli occhi sul futuro. Quanti occhi si stanno invece chiudendo! Quante volte distogliamo lo sguardo da situazioni incancrenite e fetide che ci pare di non avere la forza di sostenere! La nascita di una nuova creatura è invece un nuovo inizio, quasi un assoluto che si impone, proprio dentro e attraverso la sua fragilità.
Ecco perché sono due donne le principali protagoniste del brano: si rincorrono, si attendono, si salutano e si abbracciano. In grembo portano entrambe i germogli di una novità assoluta, una speranza fatta di carne e sangue, vita e libertà, parole e gesti di salvezza. Preparano spazi e attenzioni per chi deve venire; anzi si fanno esse stesse spazio e nutrimento per una nuova vita, senza far trapelare accenti di rivendicazione o di protezione. Sono due madri, e questo basta perché si rinnovi il miracolo della guarigione dalla disperazione. Diverse volte Israele ha sperimentato un nuovo inizio materno, fatto straordinario se pensato dentro una cultura radicalmente patriarcale. Ed anche la fede cristiana dirà nella sua tradizione che, come una donna, la capostipite Eva, ha portato nel mondo il peccato aderendo alla tentazione diabolica, così un’altra donna, Maria, ha inaugurato i cieli nuovi e la terra nuova: con il suo sguardo, con la sua fede.
Proviamo a verificare se quanto l’Avvento ci ha suggerito e richiamato, in qualche misura ha fatto breccia in noi. E proviamo a valutare di quale nuovo inizio, di quale nuova generazione la nostra esistenza ha davvero bisogno.
Il tempo si è fatto breve ed ora serve che anche noi, come Elisabetta e Maria, lasciamo spazio, ci prendiamo cura, ci immergiamo nella novità.
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