L'ANALISI
20 Dicembre 2024 - 10:44
Davide Brullo, poeta e giornalista
CREMONA - Questo pomeriggio alle 17.30 in Sala della Consulta (Palazzo Comunale), Davide Brullo e Nicola Crocetti presenteranno il volume ‘Versi a Dio. Antologia della poesia universale’ (Crocetti editore). L’incontro è organizzato dalla Società dei Militi in collaborazione con Librerie Feltrinelli e il Comune di Cremona. Davide Brullo, poeta e giornalista, traduttore dei Salmi e autore del libro ‘Pseudo-Paolo. Lettera di San Paolo apostolo a San Pietro’, da anni indaga il rapporto tra poeti e religione. In questa intervista, ci racconta questa sua ultima avventura editoriale.
Un anno dopo aver curato, sempre insieme a Nicola Crocetti, l’antologia della poesia universale, nasce una seconda ambiziosa raccolta, stavolta dedicata alla poesia religiosa. Perché?
«Per una specie di inabissamento. Origliare le origini del Verbo. Ecco. Auscultare i rintocchi di Dio (o come lo si voglia innominare). Seguirà altro».
Perché, secondo lei, l’uomo si è sempre rivolto a Dio tramite la poesia?
«Perché poesia è linguaggio aurorale dell’Adamo; lingua s-lingua, parola che sta tra il ruggire della bestia e il gorgheggiare dell’angelo. Non è un caso che il nostro tempo releghi la poesia nei sottoscala delle librerie, tratti il poeta come un paria: è, in effetti, questa, epoca aliena dal sacro, dissacrante».
È la poesia ad aver bisogno della fede o viceversa?
«Poesia è fanciulla nuda, in cenci, felice della propria deprecabile, puberale povertà. Fede è altro, nulla le serve se non Cristo. Il più fedele dei poeti potrebbe essere il più infido, potremmo dirlo anzitutto un senzadio».
In questa antologia convivono credi arcani e fedi moderne. C’è un filo rosso che unisce la poesia religiosa lungo la storia dell’umanità?
«Arcano, a onor di etimologia, significa riposto nell’arca. Arcana è dunque anche la nostra fede, che riposa all’ombra dell’arca dell’alleanza e dell’arca di Noè (fede equivale a perenne naufragio). Detto questo, c’è chi ha detto che l’uomo è, anzitutto, homo religiosus (Julien Ries, se non ricordo male). Dunque, sì, l’uomo si inginocchia e rovescia versi al cospetto del sacro: anche l’improvviso di un cervo sulla statale, la luna che pare sbocciare da un aracnide di ulivi, paiono roba sacra, a cui dire grazie».
Chi troveremo tra le pagine di questa raccolta?
«Sciamani, reietti, santi; intonacati, putridi moralisti, intrepidi peccatori. Se devo suggerirne tre, confido nel lettore che leggerà prima di tutto: Lalla, Attar e Cécile Sauvage. Credete, ne sarete atterriti».
Nella ‘Lettera ai poeti’ che apre l’antologia, papa Francesco afferma che i poeti hanno fame di significato. È davvero così?
«I poeti sono sempre famelici. Predicano la grande caccia, l’incontro con un dio che è razzia. Se però lei fa smaliziato riferimento al ‘contesto culturale’ odierno, pieno di scrittori, intellettuali e poetastri assisi su un trono ideato da sé medesimi, beh, quella non è fame ma mercimonio, matrimonio con gli inferi, gaia infelicità. I poeti, genia di deserti e di disastri, sono altrove, nel chissà dove».
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