L'ANALISI
24 Ottobre 2024 - 11:57
Nel riquadro Jordi Forcadas
CREMONA - È una delle scuole di pensiero e azione del teatro sociale e politico della seconda metà del Novecento, è il Teatro dell’Oppresso, creato dal brasiliano Augusto Boal (1931-2009). A questa pratica laboratoriale saranno dedicate le giornate del 16 e 17 novembre presso il Centro Culturale Next di via Cadolini 20. L’associazione QU.EM. quintelemento, nell’ambito della stagione teatrale 2024/25, organizza un laboratorio con Jordi Forcadas del Forn de teatre Pa’tothom di Barcellona, esponente ed erede del TdO di Augusto Boal. Il workshop sarà co-organizzato con la UILT Lombardia, Unione Italiana Libero Teatro. A spiegare l’eredità di Augusto Boal è lo stesso Forcads che afferma: «L’eredità di Augusto Boal, al di là del suo innovativo approccio teatrale — che ha coinvolto il pubblico in un dibattito su ciò che vedeva sul palco — è stata anche profondamente ideologica, diventando un appello all’azione attraverso il teatro, il che rappresenta ciò che io considero il suo contributo più importante – spiega -. Sia il teatrante che lo spettatore smettono di essere semplici partecipanti ad un’opera d’arte e tirano fuori la loro capacità critica per consegnarla alla loro comunità, con l’obiettivo di mettere fine a situazioni di oppressione e sopraffazione».
In che cosa consiste la metodologia del Teatro dell'Oppresso e come lei ne continua la lezione?
«Preferisco non definire il Teatro dell’ Oppresso una ‘metodologia’, ma piuttosto una corrente teatrale. Chiamarlo ‘metodologia’ lo riduce a un semplice manuale d’istruzioni, come l’uso di un trapano, e toglie la sua carica ideologica. È qualcosa che accade spesso: le persone frequentano i workshop di TdO solo per ‘imparare esercizi’, e questo è molto scoraggiante. Il vero obiettivo del TdO è di aiutarci a scoprire noi stessi come società, a capire il nostro ruolo all'interno di essa ed a identificare le lotte di potere che sostengono le strutture dell’ingiustizia».
Il TdO nasce in un contesto politico e geografico ben preciso: il Brasile della dittatura. Come cambia il concetto di oppressione dalle origini a oggi?
«Il Teatro dell’Oppresso è praticato in quasi tutto il mondo e, oltre ad essere una tecnica, rappresenta una forma di organizzazione popolare e democratica. Ha accompagnato molte lotte, come il Movimento Senza Terra in Brasile, gli indignados o le donne delle pulizie in Spagna e gli studenti in Portogallo, consolidandosi come strumento di resistenza e rivolta contro gli oppressori. Dobbiamo usare il teatro per decostruire ciò che le sostiene e che contribuisce a creare una realtà che legittima, per esempio, l’annientamento di interi popoli. In questo senso, trovo somiglianze tra i regimi del Brasile negli anni ‘70 e l’Europa che si intravede».
Questo vale in ogni luogo in cui conducete laboratori?
«In Italia, nello specifico, credo che il TdO sia rifiorito, negli ultimi anni. Ho notato il carattere profondamente umano di molti dei partecipanti ai workshop. La precarietà etica a cui ci conduce il capitalismo, ci riempie di vuoti esistenziali che, a volte, per esempio, cerchiamo di colmare con un consumismo vorace. Tuttavia, i più irrequieti trovano nel TdO uno spazio per la riflessione e la creatività. La qualità umana che si trova in questi laboratori permette, in primo luogo, di decostruire quell’umanesimo paternalistico e patetico che ci ha inculcato la religione, tra le altre influenze. Siamo umanisti inclini a cadere in stati di shock provocati dai media, che ci sottomettono costantemente. Questo tipo di umanesimo è pieno di paura e di contraddizioni, e finisce per diventare un sostegno ad ideologie totalitarie. L’umanesimo del TdO è belligerante e combattivo; è anticapitalista perchè parte dal riconoscere che certi gruppi esaltano la disuguaglianza, la discriminazione e l'annientamento come forme di commercio. Il TdO deve spingerci all'azione, portarci fuori dalle nostre case con la determinazione di non accettare l’oppressione e combattere l'ingiustizia».
Che tipo di lavoro farà a Cremona?
«Come sempre, la formazione si costruisce a partire dalle inquietudini sociali dei partecipanti. L’ascolto attivo, da parte mia e del gruppo nel suo insieme, è fondamentale. Questi workshop sono un punto di incontro per un’ampia varietà di persone, come assistenti sociali, pedagoghi, attivisti e studenti, tutti alla ricerca di nuovi modelli di intervento sociale che aiutino i cittadini a sviluppare le strategie per trasformare le strutture, le istituzioni e le persone che generano disuguaglianza sociale».
Singolo e gruppo si raccordano nel TdO. Come è cambiato il modo di agire in questi ultimi anni?
«Non dobbiamo cadere nello scoraggiamento; possiamo e dobbiamo immaginare nuove forme di società. È vero che le lotte sono molto frammentate, sia tra partiti politici, movimenti femministi, antirazzisti o sociali. Tuttavia, la cosa importante è che queste lotte esistono, sono presenti e piene di energia. Il TdO può essere un altro ponte di unione che ci rafforza e ci permette di andare avanti insieme, immaginare insieme, lavorare insieme, diventare più attivi e sviluppare un pensiero critico, senza scontrarci fra di noi. Possiamo sbagliare, cadere e rialzarci, ma sempre per andare avanti e mai indietreggiare».
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