L'ANALISI
20 Ottobre 2024 - 05:15
In quel tempo, si avvicinarono a Gesù Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo, anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo, infatti, non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti».
Mc 10,35-45
Dagli albori della storia il nostro più insidioso problema ha a che fare con il potere, il suo esercizio ambiguo, la sua straordinaria capacità di fascinazione. Esistono poteri belli, come la fecondità, il servizio, la dedizione…, ma ne esistono di malvagi, crudeli, sconcertanti. Tutti i giorni assistiamo, solo se prestiamo attenzione, al macabro show della prepotenza. I primi posti divengono governi assoluti, l’orgoglio per una appartenenza si perverte in imperialismo, la forza economica si traduce in indifferenza e sfruttamento a scapito dei più poveri.
Potremmo dire con buona approssimazione che la storia sia una questione di potere. Se sfogliamo i manuali utilizzati dai ragazzi sui banchi scolastici, tra una foto e una cartina, quasi tutto ha l’odore acre delle armi, quasi tutto evoca strategie e pratiche di sopraffazione e, all’opposto, aneliti di liberazione. È questo il mondo in cui ogni Adamo ed ogni Eva generano figli e figlie. Ed è per questa loro condizione oggettivamente disgregata, precaria ed esposta che il Cristianesimo ha elaborato un’idea molto scomoda, ma abbastanza capace di descrivere simbolicamente quanto contamina il cuore di ogni uomo: il peccato delle origini che si tramanda di genitore in figlio. Esso è come installato nella storia: non come colpa personale che rende malvagio un bambino, bensì come condizione, aria cattiva il cui ossigeno contaminato circola nell’organismo della nostra coscienza. Sulla sua esistenza, anche alla luce di un approccio più laico, nessuno avrebbe da obiettare. Il mito del bon sauvage che tanto ha affascinato gli animi romantici alla ricerca di un paradiso perduto, è, appunto, un mito.
Forse questo ‘peccato’ ha a che fare con il limite oggettivo della capacità umana, con il nostro desiderio di possedere ed essere oltre le nostre possibilità; forse anche con quelle molle che ci rendono liberi proprio perché esposti al bene e al male. Gesù nel Vangelo che oggi le comunità cristiane incontrano, entra a gamba tesa nella questione del potere. Raccoglie gli entusiasmi di alcuni apostoli che rispondono seccamente ‘possiamo’, ovvero ‘aderiamo alla tua vita, desideriamo condividere il Regno’, ma si precipita, ancora una volta, a correggere, sterzare e spiazzare. È vero che il suo Regno non è di questo mondo: e non solo perché è ‘dei cieli’ e presuppone un nuovo inizio della storia, ma anche perché le sue regole interne, la sua ‘costituzione’ riscrivono completamente proprio il potere. Ora non si tratta più di sedere alla destra o alla sinistra del capo, partecipare della forza del leader, chiedendo o concedendo favori particolari agli amici degli amici, ma di ‘dare la vita in riscatto’. E il riscatto, lo vediamo drammaticamente in questi lunghissimi mesi di prigionieri ancora nelle mani di Hamas e di altre sciagure simili, costa: non è solo una questione finanziaria, ma coinvolge il dono della vita, proprio come farà Gesù, disposto a consegnare se stesso nelle mani dei prepotenti dell’epoca, in un processo farsa che sarà il risultato di una dubbia alleanza tra l’occupante romano e il Sinedrio ebraico.
È affascinante come Gesù aiuti i suoi amici a progredire nella consapevolezza del suo approccio: ‘potete bere?’, ‘potete essere battezzati?’, ovvero ‘potete e desiderate entrare in un giro nuovo’, perché uno stile vi ha colpiti, alcune parole vi hanno scaldato il cuore, vi siete innamorati di un ideale bellissimo? Allora… potremmo tradurre: ‘arrivate fino in fondo’! Qui si tratta di maneggiare con cura e determinazione la sottile linea di confine tra emozioni e sentimenti, infatuazioni e scelte, propositi sognanti e azioni costose: qui si tratta di uscire da sé e da una strategia di sola difesa di sé, perché ‘fuori’ c’è bisogno di un altro modo di vivere, arriva un Regno che va preparato, accolto, costruito e custodito.
Ed è bellissima la constatazione che Marco mette sempre sulle labbra di Gesù «Tra di voi non è così»: come se lui riuscisse a vedere anche oltre le compromissioni che nella storia ci inclinano a fare l’opposto, ovvero a disprezzare e spadroneggiare.
È come se per Gesù ci fosse una vocazione buona nei suoi discepoli, più buona e più grande di ogni inclinazione, pure drammatica al male. Sarà capace qualcuno di accorgersene? Sarà capace qualcuno di prendere sul serio questa vocazione? Oppure, senza speranza, la storia sarà sempre una contaminazione di cattiverie e soprusi?
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