L'ANALISI
05 Ottobre 2024 - 11:34
CREMONA - Il Ponchielli apre la stagione d’opera 2024/2025 con il ritorno, dopo dieci anni, della Bohème di Giacomo Puccini, per celebrare i cent’anni dalla scomparsa del maestro di Lucca. Produzione giovane e fresca , come da previsione. L’allestimento è affidato al team creativo vincitore del bando under 35 per la regia bandito dal circuito lirico OperaLombardia. Il cast è interamente under 35 e il direttore, Riccardo Bisatti, alla guida dei Pomeriggi musicali, ha la veneranda età di ventiquattro anni. Il giovane direttore dimostra una gestione della buca davvero da brividi.
È capace di passare senza soluzione di continuità da pianissimi quasi sottovoce a esplosioni di colore. È vero che Puccini scrive tutto, ma tutto ciò che Puccini ha scritto, in questa direzione trova un equilibrio assoluto nella pulizia e nella raffinatezza, nella perfetta gestione di agoniche e dinamiche. Rifugge la monotonia e la prassi, rifugiandosi in due trincee di non poco conto. La prima è il dettato pucciniano, che viene rispettato alla perfezione. La seconda è la volontà di affascinare, ma soprattutto la capacità di lasciarsi emozionare. Tutto in questa direzione lascia un segno, stringe il cuore, rallegra, commuove.
Lo spettacolo è realizzato dal team creativo guidato da Marialuisa Bafunno, che firma regia e costumi, collocando la vicenda ai giorni nostri, con alcuni accorgimenti interessanti: il filosofo Colline è un attivista climatico, il musicista Schaunard è fluido e brillantinato, il pittore Marcello è uno street artist. I costumi sono molto graziosi e si calano perfettamente nella messinscena, valorizzati dai tagli di luce efficaci di Gianni Bertoli. Le scene di Eleonora Peronetti sono belle nella loro semplicità (che non è banalità): la loro bellezza sta soprattutto nei piccoli dettagli. Veniamo all’impianto registico di Bafunno.
L’idea drammaturgica di fondo è quella della scatola dei ricordi di Rodolfo, il quale, ormai anziano e canuto, rievoca la storia d’amore con Mimì. L’idea è intrigante, pur scivolando talvolta nel mieloso e sfiorando la ripetitività. Se il disegno di fondo non sempre coglie nel segno, la messinscena è comunque convincente e sa emozionare spesso, anche grazie a una schiera di interpreti che – ha dell’incredibile – sanno recitare. Lo spettacolo, nell’insieme, è bello. Di imperdonabile c’è di sicuro la danzetta a mo’ di Broadway sulle note del tamburello di Momus alla fine dell’atto primo. Simpatica… ma inguardabile. Sul piano vocale spicca la Mimì di Maria Novella Balfatti. Bel suono e ottimo controllo dell’emissione.
Una Mimì tutt’altro che docile e remissiva, anzi: sicura di sé sia scenicamente che vocalmente, e trova perfetto equilibrio in ogni registro. Qualche difficoltà per il Rodolfo di Vincenzo Spinelli, che deficita un po’ di estensione e manifesta fragilità nell’acuto. Convince anche la Musetta di Fan Zhou per carità e facilita nell’acuto. Più che buono il Marcello di Junhyeok Park, dal timbro brunito ma leggero. Corretti il Benoît di Alfonso Ciulla e il Parpignol di Ermes Nizzardo. Scenicamente, i migliori sono lo Schaunard di Davide Peroni e il Colline di Gabriele Valsecchi: entrambi regalano anche una buonissima prova vocale. Puntuali gli interventi del coro di OperaLombardia e del coro di voci bianche del teatro di Como.
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