L'ANALISI
22 Giugno 2024 - 09:17
Lo scrigno dei tesori dell'MdV e Riccardo Angeloni
CREMONA - Capello riccio nero e baffetto alla D’Artagnan, Riccardo Angeloni sembra uscito da un ritratto di Velázquez. Sorridente, affabile il nuovo conservatore lo si trova di prima mattina al Museo del Violino, insieme al maestro Fausto Cacciatori, impegnato su una ricognizione dell’intero patrimonio dell’istituzione museale. «Stiamo lavorando all’analisi e al monitoraggio dell’intero patrimonio, dai reperti stradivariani, ai documenti e agli strumenti». La materialità dà concretezza a una passione, come osserva lo stesso Angeloni: «Sono nato nel 1993, a Frascati – racconta -. In famiglia siamo appassionati di musica, cinque fratelli accomunati anche dall’amore per le note, ma senza per questo averne fatto tutti una professione».
Da dove parte la passione per la musica e gli strumenti…
«Da bambino avevo un libro sugli strumenti musicali che sfogliavo in continuazione, poi ho cominciato a studiare chitarra classica, da qui la curiosità, in seguito, su come fare strumenti».
Come è passato dal suonare al voler costruire chitarre?
«Stavo frequentando il quarto anno di liceo scientifico a Grottaferrata e in tv ho visto un servizio sulla scuola di liuteria di Cremona. Mi sono detto: io voglio andare là. Dopo la maturità l’ho fatto. All’inizio ero appassionato di strumenti a pizzico, poi quando ho preso contatto con la liuteria classica è stato amore a prima vista. Mi sono diplomato nel 2015 con Luca Bellini e Pierluigi Aromatico. La scuola mi ha dato tanto e mi ha fatto apprezzare la bellezza, la tecnica e il rigore concorrenti nella costruzione di strumenti ad arco. Poi mi ha permesso di stare a contatto con liutai professionisti o giovani studenti di tutto il mondo».
Ma evidentemente non le bastava costruir violini…
«L’ho fatto: dopo il diploma di liuteria sono rientrato a Roma e ho lavorato in una bottega di riparazioni, Chroma Officina dei violini. Dopo un anno ho saputo dell’apertura del corso di laurea in conservazione e restauro di strumenti musicali e scientifici dell’Università di Pavia e sono tornato a Cremona; avevo voglia di studiare e specializzarmi. Sono stato il primo iscritto in assoluto».
E il primo laureato.
«Anche. Sono stati cinque anni importanti, in cui oltre a studiare ho continuato a frequentare i colleghi che costruivano violini, ne ho realizzati anche io, scambiandomi consigli con i miei ex compagni di scuola e gli amici liutai. All’Università ho avuto come maestri, tra gli altri, Bruce Carlson e Bernard Neumann: durante le lezioni e nel corso del tirocinio in bottega, mi hanno insegnato le tecniche di restauro e la messa a punto degli strumenti ad arco. Ai loro laboratori si sono, naturalmente, affiancate discipline legate ad altri strumenti musicali. Ad esempio, c’è stato un momento in cui mi sono dedicato ai clavicembali. Dopo la laurea, ho subito iniziato a collaborare con l’Università, con un contratto da assistente al maestro Tom Wilder. Oggi sono professore a contratto di laboratorio. A queste esperienze si sono affiancati alcuni progetti di restauro: un liuto Wendelin Tieffenbrucker, del Museo Nazionale degli Strumenti Musicali, completato con il sostegno della Fondazione Paola Droghetti onlus, e il violino appartenuto a Italo Svevo, custodito al Museo Sveviano di Trieste. Inoltre ho collaborato con la Collezione Tagliavini–Museo San Colombano di Bologna e ho partecipato alla catalogazione del patrimonio musicale del Museo Civico di Modena. Infine ho insegnato chimica di materiali per la liuteria e verniciatura alla Civica Scuola di Liuteria di Milano».
Conoscenza storica e scientifica si intrecciano, anche grazie ai laboratori di diagnostica dei materiali?
«Ho lavorato, sia da testista sia per successive collaborazioni o incarichi, a stretto contatto con il laboratorio Arvedi di diagnostica non invasiva, diretto da Marco Malagodi. Questo è stato un valore aggiunto, molto apprezzato dalle istituzioni con cui mi sono ritrovato a lavorare».
È consapevole che con il suo percorso lei incarna la progettualità formativa su cui questa città sta investendo da anni?
«Detta così, cresce ancora di più il senso di responsabilità e riconoscenza che nutro nei confronti della comunità cremonese, all’interno della quale mi sono formato. Le esperienze maturate qui sono state determinanti per ciò che ho fatto e per quello che sono diventato. Benché abbia maturato esperienza anche in altri contesti, in Italia e all’estero, è chiaro che Cremona mi ha dato tanto a livello formativo e tantissimo sta offrendo ora con questa straordinaria opportunità professionale».
Come si passa dalla liuteria in bottega alla passione per restauro e conservazione?
«Nella mia attività, limitata ma ragionata, di costruttore, i modelli sono sempre stati quelli dei Maestri del passato che era necessario, perciò, studiare e conoscere. Nell’ambito del corso in Università ho avuto la possibilità di sviluppare l’idea della conservazione intesa come attività di gestione di una collezione, ragionando su tutte le dinamiche chimico-fisiche degli oggetti da preservare. L’opportunità di poter fare conservazione di un patrimonio anche in utilizzo, con tutte le precauzioni del caso, è, per certi versi, unica e assai stimolante, come pure tutti gli aspetti legati allo studio storico degli strumenti e alla curatela, tratti distintivi dell’incarico al Museo del Violino».
Quando ha partecipato alla selezione per questo incarico immaginava di vincere?
Un accenno di sorriso e: «I candidati erano di altissimo profilo. Essere stato scelto mi lusinga. Credo che sia stata apprezzata la mia capacità di coniugare competenze scientifiche e pratiche con altre di carattere storico-culturale».
Quindi, le competenze tecnico-scientifiche e scienze umane nel suo percorso e nella sua futura attività di conservatore si coniugano.
«Questo approccio integrato alla conservazione e allo studio di un patrimonio si pone all’interno di una comunità – quella dei liutai e non solo – desiderosa di conoscere e approfondire. Tutto ciò è linfa per l’attività culturale ma anche economica dei liutai contemporanei. Questo credo sia un aspetto molto stimolante e forse unico dello svolgere il ruolo di conservatore della collezione di strumenti musicali del Museo del Violino, a Cremona, una città con oltre 180 botteghe artigiane».
Qual è il ruolo che la sua generazione e coloro che hanno studiato con lei possono assumere nel futuro della liuteria cremonese?
«Tanti miei compagni della Scuola di Liuteria e all’Università, ma anche miei coetanei che si occupano di ricerca e conservazione, sono ottimi professionisti e studiosi: stanno lavorando bene e sono destinati ad avere un ruolo sempre più incisivo all’interno della città e non solo. Ci sentiamo a pieno titolo parte della comunità cremonese».
In questi giorni si sta dedicando all’aggiornamento degli inventari e al monitoraggio del patrimonio del Museo del Violino. Che eredità sta ricevendo da Cacciatori? E che contributo può offrire un professionista di trent’anni?
«Penso il Maestro Cacciatori abbia svolto un lavoro egregio: l’impostazione è di altissima qualità. Lo si vede adesso, dieci anni dopo l’apertura del Museo, poiché i dati di monitoraggio sulla conservazione, verificati anche in collaborazione con il Laboratorio Arvedi, indicano che i protocolli adottati stanno funzionando. Bisogna continuare sulla strada tracciata; mi sento di poter dare energia nuova, qualche stimolo in più. Ora il mio obiettivo è apprendere il più possibile dal maestro Cacciatori: è presto per parlare di progetti nuovi, ma arriverà anche quel tempo».
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