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PENSIERI LIBERI

Adesso Cremona investa su Strad e il Divin Claudio

Grazie alle nostre due eccellenze, il riconoscimento Unesco all’opera un po’ ci appartiene. La lirica bene immateriale dell’umanità: si creda di più nella potenza attrattiva della musica

Nicola Arrigoni

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narrigoni@laprovinciacr.it

18 Giugno 2024 - 05:25

Adesso Cremona investa su Strad e il Divin Claudio

Se non ora, quando? Viene da pensarlo all’indomani della grande festa all’Arena di Verona che ha celebrato l’opera lirica italiana come bene immateriale dell’umanità. La denominazione Unesco è stata festeggiata con tutto lo sfarzo possibile: un grande evento mediatico con un ensemble orchestrale di 160 elementi e un coro di 300 cantanti provenienti da tutte le istituzioni musicali italiane. Il direttore Riccardo Muti sul podio e poi una sfilata di star del belcanto che non ha eguali. Il tutto alla presenza delle massime autorità della Repubblica. Cronaca, fin qui. Pura. Ma quello che non lo è, è un pensiero che non può non sorgere e non inorgoglire un po’.

L’aver riconosciuto l’opera lirica come bene immateriale dell’umanità e aver premiato Claudio Monteverdi, che il melodramma inventò, che lavorò all’unione fra parola e musica nel segno della fabula del mito. Viene da pensare che il riconoscimento appartenga un po’ anche alla città di Cremona, che vanta già quello legato al suo saper fare liutario. Quante città possono fregiarsi, nel proprio palmares, di due riconoscimenti simili? Se poi aggiungiamo che è notizia di qualche settimana il riconoscimento del Festival Claudio Monteverdi come festival di interesse internazionale, ecco che allora ben si capisce la domanda iniziale: Se non ora, quando? Ed è quanto mai d’obbligo.

Il riferimento va alla necessità e all’opportunità di credere e di investire forze ed energie su Monteverdi ambasciatore di Cremona nel mondo. Naturalmente insieme ad Amati, Stradivari e Guarneri del Gesù. Senza dimenticare Amilcare Ponchielli. Oggi è la liuteria il vessillo della città, un vessillo importante ma strumentale per sua natura e non finalistico. E infatti, se consideriamo le semplici parole che sono la casa dell’essere, non possiamo non sottolineare un equivoco: si continua a confondere il mezzo con il fine. I violini sono lo strumento importantissimo per fare musica, ma il loro fine è trasformare note e creatività umana in armonia, è fare musica. E la musica è Monteverdi che unisce sentimento e ragione, note e parole in quel mix unico che ha dato vita all’opera lirica, al melodramma italiano.

Cremona ha la peculiarità – si crede unica – di unire in Stradivari e Monteverdi sia lo strumento che il fine: la portano — o la dovrebbero portare — ad essere una delle capitali della musica. Non si può rivendicare l’esclusiva, ma forse la primogenitura sì: Cremona ha dato i natali a Claudio Monteverdi, che nel paese del melodramma ha inventato l’opera lirica. E questo è un fatto: non deve tracciare confini e barriere, ma incoraggiare orizzonti, ampi oltre l’ovvio, proiettati alla forza potente di Monteverdi nel XXI secolo. Il divin Claudio, nostro contemporaneo. Nei festeggiamenti veronesi l’aggettivo italiano ha inorgoglito, ma messo a confronto con l’universalità dell’opera lirica è parso una diminutio. Almeno se si pensa a quanto abbia generato l’opera italiana in Europa e nel mondo. Quindi la dicitura opera lirica italiana preserva una tradizione, ma ne delimita troppo l’eredità e la potenza.

 Un momento della rappresentazione dell’Orfeo che ha aperto la 41ª edizione del Monteverdi Festival

Come dire: il vessillo Unesco deve aiutare a guardare al mondo, oltre i confini e oltre gli steccati, nel segno di una complessità che le differenze apprezzano e non deprezzano. A fianco degli strumenti con cui fare musica – e il violino ne è il re indiscusso — non bisogna dimenticare il fine: la musica come espressione della creatività umana, linguaggio universale. Proprio per questo Cremona può vantare due riconoscimenti Unesco. E per questo si dice con forza: Se non ora, quando? È da almeno ottant’anni che Cremona cerca di definire una propria identità: lo ha fatto nel 1937 con le celebrazioni Stradivariane, l’anno successivo con la nascita della Scuola Internazionale di liuteria, nel 1943 con le Monteverdiane e poi ancora, nella seconda metà del Novecento, con le Stradivariane del 1949 e quelle del 1987. Monteverdi torna alla ribalta nel 1969, poi nel 1993/1994 e ancora nel 2017.

Una ripetizione che dimostra quanto la strategia dell’evento sia detonante, ma rischi di non mettere radici. I modelli celebrativi novecenteschi frequentano l’eccezionalità e l’irripetibilità, ma al tempo stesso pretendono di farsi tradizione, tratto permanente in cui una comunità possa riconoscersi ed essere orgogliosa delle sue origini. Allora, a fronte della natura effimera propria di ogni evento, i riconoscimenti dell’Unesco chiedono a Cremona — e in generale all’Italia e al mondo della cultura — di valorizzare il processo e di non fermarsi al prodotto, ovvero di costruire una consapevolezza culturale delle proprie radici che non chiuda gli orizzonti, ma li apra. Celebrare l’opera lirica italiana significa con rispetto studiare, eseguire le partiture italiane senza dimenticare Mozart e Wagner, solo per fare due esempi.

E ancora, significa non aver paura dell’innovazione e della contemporaneità. Il divin Claudio lo permette con le sue partiture aperte, con la potenza innovativa della sua rivoluzione. Lo sanno bene all’estero, dove leggono Monteverdi come un testo da far risuonare nel qui e nell’ora della scena e del nostro presente. Sono questi elementi che fanno scoppiare l’universo Monteverdi destinato a comprendersi fra un orizzonte filologico ed un altro contemporaneo. A tutto questo si aggiunga la libertà di giocare con la musica, con i violini, e anche con il divin Claudio, senza aver paura dei tradimenti e degli stravolgimenti, che se hanno un loro rigore generante non sono mai irrispettosi. E nemmeno pretestuosi. Per raggiungere l’obiettivo, Cremona ha tutte le carte in regola: ha la pluralità di enti e soggetti che assicurano formazione, produzione, conservazione, innovazione e ricerca.

Bisogna aver fede e fiducia nella musica monteverdiana e nella cultura barocca, cultura multimediale e innovativa per eccellenza, in cui alto e basso coincidono, in cui tutto si tiene sotto il segno dello stupore e della meraviglia. E se lo stupore è l’atto generante il pensiero, si capisce quanto Monteverdi e Stradivari possano essere fecondi per la comunità cremonese. Da qui, dal senso di comunità, bisogna partire. E il fianco è offerto proprio dal maestro Riccardo Muti nel suo discorso all’arena di Verona: «L’orchestra è sinonimo di società. Ci sono i violini, ci sono i violoncelli, le viole, i contrabbassi, i tromboni. Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse, ma devono concorrere tutti a un unico bene, quello dell’armonia di tutti». A questa armonia è chiamata Cremona, città di Monteverdi e Stradivari. Se non ora, quando?

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