L'ANALISI
13 Giugno 2024 - 16:16
Il regista francese Olivier Fredj
CREMONA - Il Ponchielli inaugura domani il Monteverdi Festival con una nuova produzione di Orfeo a cura del regista francese Olivier Fredj. Dopo il suo celebratissimo successo al Teatro La Monnaie di Bruxelles con Bastarda, un taglia-e-cuci delle opere elisabettiane di Donizetti, al suo debutto in Italia si cimenta per la prima volta nell’allestimento di un’opera monteverdiana, ispirandosi a Jean Cocteau.
Prima regia in Italia e prima volta con Monteverdi. Che differenze ha incontrato tra il teatro internazionale e quello italiano?
«È strano. Sembra un cliché, ma per me è stato come tornare a casa. Si sente che qui è nata l’opera lirica».
Che effetto le ha fatto confrontarsi con Monteverdi e in particolare quest’opera, cioè confrontarsi con un repertorio del tutto diverso da quello a cui è abituato?
«Da tempo sognavo di allestire un’opera barocca, in particolare di Monteverdi. Monteverdi è molto teatrale, la musica di Verdi è come quella del cinema muto, che va con l’azione, mentre quella di Puccini è già vicina al cinema che conosciamo».
Con quest’opera in particolare, l’Orfeo, come si è trovato?
«Orfeo è scritto per un pubblico estremamente colto e che poteva cogliere i tantissimi riferimenti alla mitologia greca e alla letteratura presenti nel libretto. Oggi, la gente conosce l’Orfeo che si reca all’Inferno per recuperare Euridice, ma non conosce tutto l’impianto mitologico che lo circonda, quindi il libretto scatena un problema. Ho scelto di lavorare con un sottotesto, invece di cercare di ricollegare ogni parola alla mitologia. Ad esempio, ho immaginato il personaggio di Musica nel Prologo non come una personificazione, ma come la presentatrice degli Oscar, che accoglie il pubblico in sala. Ho evitato le allegorie, e ho immaginato Musica e Apollo come creatori di un’azione fatta apposta per Orfeo».
Quindi lei come ha immaginato quest’opera?
«Ho mantenuto la drammaturgia dell’opera, continuando a raccontare la storia, ma l’ho adeguata alla mia idea. I pastori diventano amici di scuola, ad esempio. Abbiamo tolto Orfeo dalla sua epoca senza inserirlo in un’altra. Non conta l’epoca, ma i rapporti dei personaggi con Orfeo».
Nel libretto si parla di Orfeo come semidio, ma Striggio ne esalta la componente umana. Secondo lei, Orfeo cos’è?
«È un mito».
Cioè?
«Inserire una persona all’interno di uno spettacolo, nel mezzo di un gruppo di persone, per fargli vivere un’esperienza, significa che Orfeo non è né un dio né una persona reale: Orfeo è intrappolato in una storia che non capisce».
Come si risolve scenicamente questo ‘orfeocentrismo’, l’orbitare di personaggi meno approfonditi intorno a Orfeo?
«In questo spettacolo, tutti sono attori che recitano per Orfeo. Si sa già che i personaggi esistono e agiscono per Orfeo e per il pubblico. La loro definizione dipende dall’effetto che devono avere sul protagonista».
Nel 1600 a Firenze nasce l’opera con Rinuccini, Peri e Caccini, e aveva protagonista proprio Euridice. In Orfeo, sette anni dopo, Euridice canta solo dodici versi. Nella sua regia, Euridice, che ruolo ha?
«Euridice è la ragione della musica e delle emozioni di Orfeo. In accordo con il direttore (Francesco Corti, ndr), Euridice e Musica saranno interpretate dalla stessa cantante. Euridice fa parte dello ‘spettacolo’ allestito per Orfeo. Le due volte in cui Euridice canta cambia ogni cosa nell’animo di Orfeo. Euridice/Musica ‘serve’ a Orfeo: accetta di morire per permettergli di sperimentare il resto della storia. Non si possono spiegare il mistero della morte e la validazione dell’identità di Orfeo: per questo cercheremo di dare più emozioni che spiegazioni».
La musica di Orfeo ha un potere civilizzatore e magico, ma alla fine Orfeo è sconfitto. Lei si è chiesto perché resta sconfitto?
«No, perché per me Orfeo non ha potere. Il potere è di Musica/Euridice. Orfeo fa musica perché sono gli altri personaggi che lo invitano continuamente a cantare e suonare. Non c’è la magia, ma un potere creato dalla necessità. E allora perché Orfeo si gira verso Euridice mentre escono dagli Inferi? Perché Orfeo crede che l’amore sia più forte della morte? Orfeo ha bisogno di essere amato, si annulla senza Euridice: è l’ego di Orfeo. Orfeo si sente invincibile, per il suo ego alimentato dallo sguardo di Euridice. E poi c’è la paura della morte: Orfeo si volta perché ha paura di scomparire senza Euridice».
Ha cercato di rendere l’idea di un lieto fine che, però, ha un che di agro, dato che Orfeo perde per sempre Euridice?
«Ho mantenuto un finale lieto, filosofico. Per me è più che altro un epilogo. Apollo presenta lo spettacolo in duetto con Musica. Apollo comunica a Orfeo la fine dello spettacolo, e Orfeo capisce il teatro, la musica, l’arte, come esperienze che gli permettono di toccare misteri incomprensibili».
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