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#DIRITTODICRITICA: 'La nuova abitudine', la recensione

Ultimo appuntamento con l'iniziativa organizzata dal giornale 'La Provincia' e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli

La Provincia Redazione

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20 Maggio 2024 - 16:35

#DIRITTODICRITICA: 'La nuova abitudine', la recensione

CREMONA - Ultimo appuntamento con #DIRITTODICRITICA, l'iniziativa organizzata dal giornale La Provincia e da Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli, che offre agli studenti delle scuole cremonesi la possibilità di esprimere il loro giudizio motivato e argomentato sugli spettacoli in cartellone al Ponchielli. E' la chiesa di San Michele a ospitare 'La nuova abitudine', la coreografia di Claudia Castellucci che ha chiuso la stagione di danza del Ponchielli.

LEGGI LA RECENSIONE

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Immerso dall'inizio in una dimensione atemporale con la mente ottenebrata dal contrasto necessario tra la solennità scenografia del luogo e la geometria dell’incedere ragionato dei danzatori, lo spettatore de “La nuova abitudine”, messo in scena martedì 7 maggio, è confinato a contemplare la finzione teatrale, senza esserne parte integrante.

Questa adorazione non partecipativa, ma distante, è un’eco della commistione tra la tradizione greca del sedicesimo secolo e quella rurale russa, le terre in cui sono nati i canti ortodossi Znamenny, eseguiti da un ensemble maschile del Coro in Sacris che scandisce il susseguirsi delle scene di carattere meditativo, più che dialettico. L’esibizione vuole essere un’indagine sul rapporto tra il ritmo cadenzato ed impersonale della musica e la libertà creativa degli archetipi di Claudia Castellucci.

I danzatori, strappati alle catene delle convenzionali tecniche compositive, trovano nell’antico carceriere, la musica, il mezzo con cui plasmare, delicati ed imprevedibili, il fluire del tempo. Mutevole è il rapporto con il pubblico nell’allontanarsi degli artisti, quasi ispirati da una vocazione ascendente, dalla navata al presbiterio. La compagnia Mòra, curioso nome che afferisce alla più breve pausa nella notazione agostiniana, delinea un’evoluzione dalla predilezione della sincronia del movimento al graduale emergere della figura individuale.

Un carattere marcatamente antinaturalistico connota i costumi, abiti con un’eco cerimoniale, cuciti per il ballo. La designazione da parte del teatro Ponchielli di Cremona di un luogo di culto tanto notevole quale la chiesa di San Michele Vetere è azzeccata sia per le affinità tematiche sia per la solennità quasi mitica che pervade, mediante la luce tenuissima, l’intera rappresentazione.

Sebbene la modestia dell’insieme rispetto all’appariscente liturgia bizantino-slava giunga piuttosto inaspettata a chi si affaccia a questo territorio musicale poco battuto, lo spettacolo si rivela una scoperta progressiva, immagine della reazione del pubblico all’agognato sperimentalismo della Societas.

Priva del primato della parola che si diffonde unicamente dal canto inintellegibile, la rappresentazione mette in rilievo la funzione unificatrice dell’arte che rende il rivolgere un encomio alla Russia, non un atto audace, ma la prova della genuina volontà di espressione. Totus mundus agit histrionem.

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