L'ANALISI
05 Maggio 2024 - 09:10
Carmine Caletti e Neri Marcorè durante l'intervista
CREMONA - Una storia di formazione, con una costante presenza del pallone. Ieri, in un cinema Filo gremito come nelle grandi occasioni, è stato presentato e proiettato il nuovo film di Neri Marcorè, Zamora, il suo primo dietro la macchina da presa. L’iniziativa ha visto la collaborazione del Cinema Filo, della Società Filodrammatica Cremonese e del Porte Aperte Festival, con Lsd Festival di Fidenza e l’Associazione Cremonapalloza. Dopo entrambe le proiezioni - una è stata nel tardo pomeriggio e l’altra in serata -, Marcorè si è lasciato andare in un’intervista con Carmine Caletti, segretario dell’Associazione Cremonapalloza, nella quale sono stati evidenziati alcuni passaggi cruciali del film.
Tra gli altri, in sala, presente anche l’assessore alla Cultura, Giovani e Politiche della Legalità Luca Burgazzi: «Momenti come questi nascono da una sempre maggiore esigenza di cultura. L’obiettivo è di fare di questa città un luogo aperto, dove poter riflettere, in un periodo dove vanno più di moda le chiusure». Al termine della proiezione, gli applausi sono stati lunghi e convinti.
«È sempre così bello poter vedere le sale cinema piene - ha esordito Marcorè -. Sono davvero contento della realizzazione di questo film. È vero, è stata la mia prima regia, ma per un attore, passare dietro alla macchina da presa, è come per un giocatore diventare allenatore. Un passaggio naturale insomma. Ho deciso di prendermi questa responsabilità dopo tanti film, ma devo dire che mi sono trovato molto bene. Il segreto di questo film sta in un dialogo costante con tutta la troupe cinematografica. Rinunciare a possibili idee altrui, infatti, lo considero un grave errore e proprio per questo ho ascoltato e usufruito dei suggerimenti di tutti. Avere persone di cui ti fidi e che si fidano di te porta a risultati come questi. Nella scelta degli attori sono partito dal lato prima di tutto umano prima ancora che professionale. La collaborazione con il cast, come detto, è stata davvero a 360 gradi. Nella stesura di un film ognuno è tenuto a contribuire, offrendo la propria creatività e inventiva. Il film è insomma quindi frutto del lavoro di tutti, non solo del regista».
Caletti ha chiesto qualche informazione in più sugli attori: «Io credo che in questo film in ogni ruolo ci siano i giusti attori e le giuste attrici, tanto che l’idea è stata quella, laddove possibile, di poter far scegliere loro i ruoli più congeniali per loro stessi. Il protagonista, Alberto Paradossi, era alla sua prima interpretazione da protagonista, ma devo dire che è stato bravissimo. Durante un provino mi aveva impressionato molto il suo modo di muoversi e le sue idee ed ero sicuro che poteva dare qualcosa in più a questo film. E così è stato. Mi piace molto evidenziare poi la sua storia di trasformazione, dove da brutto anatroccolo diventa cigno, tirando fuori tutto il suo carattere durante la partita finale».
Tanto spazio anche a personaggi femminili… «Sì, le donne in questo film, come nella realtà, sono più avanti degli uomini. Anticipano i tempi. Sono donne libere ed emancipiate, che in un contesto meno provinciale come quello di Milano iniziano a capire che non sempre la ricetta della felicità è uguale per tutte. E non sempre è sposarsi. La sorella del protagonista, con le sue storie, ne è il più grande esempio. Gli uomini sono invece ancorati ancora a una più immobile tradizione, la loro crescita nel corso del film è evidente. Anche da parte di coloro che non ti aspetti».
Questo è un film nel quale il calcio ha un ruolo non secondario, sottolinea Caletti: «Assolutamente sì. Quello rappresentato qui è quello più tipicamente amatoriale. Non è stato facile, perché dovete sapere che il pallone è un pessimo attore. È difficile infatti poterlo dirigere a proprio piacimento in assenza di attori-calciatori. Io ho cercato di evitare le solite inquadrature, prediligendole veloci e con un taglio a mezzo busto». Esistono alcuni aspetti biografici, si chiede a Marcorè? «Sì, nel film c’è molto di me, anche nel personaggio da me fatto, soprattutto per la questione della timidezza. Mi è piaciuto poi ripercorre il tema dello spostamento da paese a città, come quando nella mia vita sono passato da Porto Sant’Elpidio a Bologna, per studiare, e a Roma poi per lavorare».
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