L'ANALISI
01 Marzo 2024 - 20:05
CREMONA - ‘Salviamo l’Europa’: il titolo del saggio di Michele Bellini, consigliere politico e responsabile politiche europee del Pd in Lombardia, alla vigilia delle consultazioni elettorali, è una sorta di grido d’allarme, pronunciato da chi, nato nel 1991, non ha conosciuto l’Europa del muro di Berlino e delle frontiere. Il volume, pubblicato da Marietti, ha un sottotitolo che fornisce una prospettiva d’azione: Otto parole per riscrivere il futuro. Il saggio si avvale della prefazione di Enrico Letta ed è una riflessione sincera, diretta e appassionata su cosa l’Europa deve o dovrebbe fare. La presentazione si terrà domani alle 18 alla Società Filodrammatica. Con l’autore ci saranno Sara Guarneri (manager), Damiano Bonvicini (responsabile comunicazione Vanoli Basket), Roberto Rocca (ricercatore Politecnico di Milano), Saverio Simi (consigliere comunale). Martedì 12 marzo alle 18 il libro sarà presentato alla libreria Brioschi di Crema nel corso di un incontro cui interverranno il sindaco Fabio Bergamaschi e Paolo Gualandris, direttore del giornale «La Provincia».
Salviamo l’Europa assomiglia a un monito: da dove scaturisce?
«Tutto nasce, oltre che dalla mia passione per la politica e l’Europa, dall’aver letto un editoriale pubblicato nel 1958 in piena crisi libanese sul periodico Adesso, fondato da don Primo Mazzolari in cui si leggeva, rispetto al ruolo dell’Europa: l’Europa è in vacanza e si è posta nella condizione di non parlare. Oggi come allora, l’Europa rischia di condannarsi all’irrilevanza se non si riforma. Mi sono chiesto cosa sia necessario fare».
E lo ha distillato in otto parole: geopolitica, allargamento, sovranità, democrazia, sostenibilità, immigrazione, convergenza, tecnologia che finiscono con essere una sorta di mappa tematica.
«Sono parole chiave sotto le quali ho cercato di formulare delle domande. È vero che in questo tempo l’Europa ha bisogno di risposte, ma per avere quelle giuste bisogna saper porre le domande adeguate. Anche questo ho cercato di fare, capitolo dopo capitolo, parola dopo parola individuando i temi principali per fare in modo che l’Europa costruisca un suo futuro di soggetto rilevante nella politica internazionale».
Da queste necessità è nato il suo libro?
«Non solo, è nato anche sulla suggestione di un numero ricorrente: il 24. Il riferimento va in primis al 24 giugno 2016 quando venne sancita l’uscita dell’Inghilterra dall’Unione. Mi ricordo che la sera prima andai a letto con la certezza – così pareva – che avesse vinto l’anima europeista degli inglesi e invece il ribaltone nella notte decretò, la mattina del 24 giugno, la tanto temuta Brexit. Ricordo che ero a Cremona, la prima cosa che feci fu controllare le notizie e ne rimasi scioccato. L’altra data è il 24 febbraio di due anni fa, con lo scoppio della guerra in Ucraina. Per l’Europa è stato un risveglio brutale e definitivo dall’illusione che l’aveva accompagnata negli ultimi decenni, cioè quella di un mondo in cui le forze dell’economia potevano bastare, da sole, a preservare la pace. L’Europa deve velocemente adattarsi a una realtà molto diversa da quella in cui era riuscita a prosperare durante l’età dell’oro della globalizzazione; una sfida non banale».
Tornando al titolo: l’Europa per salvarsi cosa deve fare?
«Lo accennavo prima: uscire dall’irrilevanza. Per evitarla, credo che sia indispensabile avanzare con l’integrazione, ma soprattutto far prevalere la politica sulla tecnica».
Questo voler far prevalere la politica sulla tecnica che cosa implica?
«Implica, come spiego nel libro, un cambio di passo. Per costruire un’Europa più politica c’è bisogno di trasferire maggiori competenze all’Ue in quegli ambiti in cui i singoli Stati nazionali faticano ad affrontare le sfide globali e il confronto con i grandi blocchi politici ed economici: penso alla Cina, ai paesi emergenti e agli Stati Uniti».
Concretamente questo cosa vuol dire?
«Vuol dire costruire una politica estera e di difesa unica, un’Europa sociale per accompagnare i lavoratori nei grandi cambiamenti che viviamo e rafforzare la capacità di investimento europea per le nostre economie. A guidare la scelta di quali siano le competenze europee da rafforzare non devono essere gli egoismi nazionali, ma il principio di sussidiarietà, che già è incardinato nei Trattati e prevede che si scelga il livello di azione pubblica che massimizza l’efficacia per di cittadini. Accanto alle competenze, serve rafforzare la dimensione politica europea. Questo può avvenire dando più potere al Parlamento europeo di quanto non ne abbia ora – in secondo piano rispetto al Consiglio europeo, sede di decisione degli Stati membri – dotandolo dell’iniziativa legislativa, oggi monopolio esclusivo della Commissione. Poi, la dimensione politica si può rafforzare anche aggiungendo, oltre alle elezioni, altri momenti di suffragio europeo, per sottolineare che siamo tutti sulla stessa barca. Nel libro faccio due esempi: le primarie atte a individuare i diversi candidati alla presidenza della Commissione e dei referendum consultivi su materie sovranazionali. Sarebbe un modo per parlare delle stesse cose, da Lisbona a Varsavia, naturalmente declinandole in base alle specificità locali».
Politica estera comune, esercito condiviso rischiano di essere un refrain.
«Lo è, ma sono acquisizioni necessarie se vogliamo davvero incidere sulle dinamiche geopolitiche ed essere efficaci nel promuovere la pace. È anche una questione di efficienza nella spesa: ogni anno si hanno 22 miliardi di euro di mancati risparmi per politiche di difesa nazionali non condivise. Dal punto di vista della tassazione, poi, è un’assurdità e un’ingiustizia che all’interno dell’Europa esistano paradisi fiscali. E anche questo accade perché all’Europa non si cede la capacità di agire per uniformare i sistemi fiscali. Sono questi alcuni aspetti di un’Europa che ha bisogno di essere riformata, a maggior ragione in previsione di un nuovo allargamento con l’inclusione dei paesi dei Balcani occidentali. Ma per rendere questo realizzabile c’è bisogno che Governi e forze politiche lo consentano. E a loro, noi cittadini, dovremmo chiedere questo senza farci distrarre dagli slogan».
Come vede le prossime elezioni europee?
«Saranno un passaggio cruciale, in cinque anni il mondo è cambiato, sono scoppiate nuove guerre e una di queste in Ucraina. È scoppiata una pandemia che ha cambiato il modo di pensare e di agire e di cui dovremmo fare tesoro. Penso alle azioni condivise nell’acquisto dei vaccini, nel sostegno agli Stati in difficoltà, nel fondo Next Generation EU da cui è nato il Pnrr. Questa è l’Europa che mi piace, che è messa in condizione di essere al servizio delle comunità che la compongono, che cerca una soluzione globale dei problemi, avendo presenti le diversità delle comunità che la compongono».
Ma partendo dal suo grido: Salviamo l’Europa, come vede l’Europa di domani?
«Io sono nato nel 1991, il muro di Berlino era caduto, le frontiere erano abbattute. L’Europa che abbiamo ereditato è l’Europa della libera circolazione di uomini e merci, l’Europa della moneta unica, l’Europa dell’Erasmus. L’essere europei si percepiva viaggiando, facendo esperienza della comunità e spostandoci. Ora la mia generazione, accanto a quell’Europa, credo debba costruire l’Europa di chi resta».
Cosa intende dire?
«Penso a un’Europa che nelle sue azioni legislative e di governo sia percepita anche da chi vive e resta a Cremona o a Casalmaggiore, che sia un’Unione che sappia essere vicina ai cittadini nelle decisioni che prende e nella condivisione del suo agire attraverso un’azione politica concreta. Questa è l’Europa che bisogna costruire».
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