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LE RECENSIONI VINCITRICI

Diritto di critica, al Ponchielli i giovani cronisti protagonisti

12ª edizione della palestra di scrittura che vede lavorare in sinergia il giornale La Provincia di Cremona e Crema e Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli

La Provincia Redazione

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21 Settembre 2023 - 08:42

Diritto di critica, al Ponchielli i giovani cronisti protagonisti

CREMONA - Emozionati, accompagnati da mamma e papà, con i dirigenti scolastici a mangiarseli con gli occhi: sono i vincitori e i segnalati della 12ª edizione di Diritto di critica, la palestra di scrittura che vede lavorare in sinergia il giornale La Provincia di Cremona e Crema e Fondazione Teatro Amilcare Ponchielli per costruire spettatori consapevoli e lettori attenti. A fare gli onori di casa il sovrintendente Andrea Cigni, mentre il sindaco Gianluca Galimberti e gli assessori Maura Ruggeri e Luca Burgazzi hanno ringraziato l’impegno degli organizzatori e dei ragazzi, soprattutto. A selezionare le recensioni vincitrici sono stati i giornalisti Nicola Arrigoni e Barbara Caffi e lo staff della segreteria artistica del Ponchielli: Paola Coelli, Lorenzo Del Pecchia, Laura Seroni e Barbara Sozzi. A leggere le recensioni dei giovani critici è stato l’attore Alberto Branca.

LE RECENSIONI VINCITRICI

BEATRICE VACCARO
3ª liceo classico Manin

Debutto entusiasmante per la Rassegna di danza del Ponchielli, domenica sera, con Il Lago dei cigni del Ballet Preljocaj. Quasi due ore senza interruzione, in cui ventisei ballerini hanno stregato il pubblico con la reinterpretazione dell’iconico balletto, ad opera del grande coreografo francese Angelin Preljocaj. La trama originaria, che racconta la storia d’amore tra Siegfried e Odette, è interamente mantenuta, e con essa la dimensione fantastica della trasformazione di una donna in cigno; il racconto, però, è attualizzato e trasposto nel mondo dell’industria e della finanza, con spunti assolutamente contemporanei legati al problema dell’inquinamento. Le ambientazioni, quindi, passano dalle suggestioni oniriche del lago, avvolto dalla nebbia, allo skyline di una metropoli moderna, tramite una scenografia complessa basata su video prodotti da Boris Labbé. Ricorrente l’immagine, sul fondale, del volo di uccelli, che, intrecciandosi ai virtuosismi disegnati dalle braccia dei ballerini, sottolineano il movimento nelle coreografie. I costumi, prevalentemente bianchi o neri, riprendono, tranne poche eccezioni, i colori dello sfondo: le donne cigno, liberate dalla formalità delle punte, con i loro tutù destrutturati, incarnano la perfetta sintesi tra la danza classica e quella contemporanea, sapientemente mixate da Preljocaj, con contaminazioni folkloristiche. Le musiche sono quelle originariamente composte da Čajkovskij, ma con l’inserimento di brani elettronici contemporanei.
Un ritorno sul palco di casa per il cremonese Leonardo Cremaschi, nei panni di Siegfried; con la sua forte personalità espressiva, ha incantato il pubblico, fondendo perfettamente il movimento alla musica, a cui ha saputo sempre allineare il proprio ritmo interno. Impeccabile la tecnica di Isabel Garcia Lopez che, nel doppio ruolo di Odette e Odile, non sempre riesce, però, a differenziare la caratterizzazione dei due personaggi. Da segnalare l’interprete della madre di Siegfried, Mirea Delogu: incantevole il suo duetto con Leonardo Cremaschi, in cui riesce a trasmettere tutta la tenerezza e l’istinto di protezione verso il figlio. Un Lago dei cigni in versione inedita che ha conquistato il pubblico e lascia presagire una stagione emozionante della danza a Cremona.

JACOPO GANDAGLIA
2ª liceo scientifico Aselli

Ultimo appuntamento della stagione concertistica del Teatro Ponchielli. Sul palcoscenico la Filarmonica Arturo Toscanini. A dirigerla, senza l’utilizzo della bacchetta, Roberto Abbado, ultimamente sempre in attività, anche durante il Festival Verdi di Parma, nonostante qualche recente screzio. Aspettative molto elevate sono inoltre rivolte al violino solista Valeriy Sokolov, trentaseienne ucraino che ha già calcato i più grandi palchi europei. Il programma si apre con Une barque sur l’océan di Maurice Ravel, brano del 1904, fra i primi di rilievo per il compositore francese. La proposta musicale di Abbado denota con chiarezza i forti cambi d’intensità che l’orchestra osserva con maestria: motivi leggeri e scintillanti resi con fluidità melodica lasciano spazio, improvvisamente, a ritmi energici e tumultuosi, scanditi dalle percussioni, in un botta e risposta continuo. Non trascorre molto dal termine dell’esibizione all’entrata in scena di Sokolov, in piedi e concentrato per il Concerto per violino e orchestra, op. 14 dello statunitense Samuel Barber, opera in tre tempi del 1940. L’assolo iniziale del primo movimento (allegro) del violino evidenzia subito la tecnica sopraffina di Sokolov, virtuosa, dai movimenti repentini che conferiscono tuttavia ai suoi interventi poca omogeneità con quelli dell’orchestra, più fluidi e delicati: forse l’unica pecca stilistica di Abbado. Dopo il romantico assolo dell’oboe del secondo tempo (andante), l’abilità del violinista ucraino viene nuovamente messa alla prova dal moto perpetuo del terzo movimento (presto), una cascata di note che sfocia in applausi scroscianti ma non sufficienti per il bis. A chiusura del concerto Quadri da un’esposizione di Modest Musorgskij (1874), nella versione per orchestra di Ravel (1922), composta da dieci quadri ‘illustrati’ dalla musica e quattro Promenade, passeggiate che introducono alle tele successive. Le variazioni sono innumerevoli, la duttilità espressiva dell’orchestra raggiunge il suo massimo grado e ciascuno dei brani definisce nella mente degli spettatori un dipinto chiaro, ricco di dettagli e sfumature cromatiche. Il finale è un crescendo di rara intensità e gli applausi assolutamente meritati: un concerto che rappresenta la degna conclusione di una brillante stagione musicale.

LUDOVICO EMANUELE RUSSO
4ª liceo musicale stradivari

Nuove sonorità illuminano il Ponchielli con l’ensemble Icarus Vs Muzak, formazione che cerca di dare continuità al discorso musicale tra passato e valorizzazione della musica generata dalle nuove tecnologie. Rituale Lunare di Montalbetti apre la via all’ascolto: clarinetto basso e percussioni evocano un’atmosfera di attesa. Il secondo brano, Travestimento n. 3 di Rastelli, muove dall’idea bachiana, ma lentamente cambia aspetto diventando qualcosa di diverso: ciò che un tempo è stato contemporaneo è destinato a divenire antico, proprio perché parte di questo inesorabile fluire. Nel primo movimento, il tempo è quello del ricordo, brandelli di memoria; nel secondo, è impercettibile, ingannevole: flauto e clavicembalo intraprendono lo stesso viaggio. Il terzo, è un gioco del variare e dello sviluppare gli elementi musicali. Lo smarrimento diviene maggiore in Club Music, brano di Giannotti che proietta l’ascoltatore in una dimensione parallela. La musica si veste di ironia. Il concerto prosegue con un lavoro di Jolivet. Ogni movimento è un quadro della Natività. Il duetto tra flauto e fagotto accompagna l’apparire della Stella, l’arrivo dell’arpa conferisce alla scena mistero e solennità; ne Les Mages, i due fiati danno voce allo sforzo e all’ansia dei tre re durante il cammino; la ninna nanna, terzo quadro, nella sua semplicità, è momento di riflessione prima dell'ultimo movimento ritmicamente più complesso. La serata prosegue con un ideale dialogo tra Ravel e Guastella: alcune idee musicali dell’autore francese si muovono in una nuova narrazione: fanno capolino, scompaiono e riappaiono improvvisamente in altra forma. È il mare del tempo che trasporta, leviga e modella. L’esecuzione di Anamorfosi di Sciarrino offre l’illusione di poter dominare il tempo svuotando la mente dagli stimoli sonori quotidiani. A Taglietti l’onore di concludere con un capolavoro della musica medievale salvato dalla furia dell’uomo. Novello alchimista, Taglietti mescola assonanze del passato con situazioni musicali contemporanee esaltando il potere della musica: continuare a comunicare con l’animo umano nel proprio tempo e oltre ogni tempo. Timbri misteriosi e strane risonanze chiudono una serata che ci si augura sia la prima di un nuovo percorso volto a valorizzare la musica contemporanea.

CHIARA MORETTI
3ª liceo scientifico Aselli

Diptch di Carrizo e Chartier, originato dal dualismo tra le scene The Missing Door & The Lost Room, messo in scena al Ponchielli il 9 maggio, è uno spettacolo che congiuntamente ammutolisce lo spettatore e fa scaturire dal suo animo dei sentimenti inquietanti, estranei all’inizio e via via familiari. Un transatlantico del secolo scorso procede tra i suoi sbuffi cadenzati e i sospiri dei passeggeri. Sprazzi di vita umana sono proposti allo spettatore in un’ottica di iperrealismo, un crescendo accosta le più ordinarie vicende umane con le mete del vagare di una mente senza cardini. Si instaura una lotta antitetica tra il silenzio regnante e l’imprevedibile frastuono della tempesta, divenuta poi, in parallelo all’inasprimento generale dei canoni della narrazione, bufera. Controverso nel contenuto, squisitamente personale nell’interpretazione, lo spettacolo ha evidenziato una dinamicità straordinaria nel susseguirsi delle scene in contrasto con l’immutabilità della condizione dei protagonisti che si rivelano irrimediabilmente imprigionati nella propria visione. Inconsapevoli dell’essere parte di un disegno più ampio, tentano di lottare invano contro la loro nemesi ricadendo presto nell’arrendevolezza. Uomini e donne di ogni estrazione sociale sono attori passivi che oscillano tra pene inflitte da loro stessi e opposizione contro i compagni delineando una scena dove regna un’assordante mancanza di dialogo. Momenti di forte tensione creano un’aspettativa che spesso è tradita da transizioni tecniche eccessivamente enfatizzate. Destreggiandosi nella disarmonica scansione temporale, i ballerini della compagnia belga Peeping Tom, seppure impegnati in movimenti convulsi, non tralasciano il connubio tra interpretazione e conoscenza tecnica. Sullo sfondo coronato dalla ricerca di spettacolarità nella scenografia, gli interpreti, avvolti in abiti, a tratti, disadorni, ma che eludono ogni anacronismo, sono accecati dalle luci improvvise, strumento di congiunzione tra le scene. Misteriosa anche nel genere in cui identificarla, l’opera, sinergia tra teatro e balletto, è una denuncia alla sovrabbondanza delle parole e un inno al potere comunicativo del volteggiare del corpo, il tutto avvolto in un’aura che gli conferisce una lontana eco di thriller psicologico.

LUCA CASELANI
4ª istituto Ghisleri

Una scenografia mozzafiato, un effetto di luci molto curato e un ensemble formato da venti attori, che in più di due ore sono riusciti a portare in scena il musical Pretty Woman, basato sull’omonimo film di Garry Marshall & J.F. Lawton, che ha richiamato un grandissimo pubblico al teatro Amilcare Ponchielli di Cremona, realizzando il tutto esaurito e aprendo nel migliore dei modi la stagione del teatro. Sul palco i bravissimi attori Beatrice Baldaccini e Thomas Santu, nei panni rispettivamente di Vivian Ward ed Edward Lewis; due protagonisti molto diversi tra di loro: lei è una giovane ragazza che per riuscire a pagarsi l’affitto si dà alla prostituzione; mentre lui è un ricco imprenditore dedito solo al lavoro. L’uomo, dovendo fare colpo con il capo di una grossa compagnia marittima che lui stesso vuole acquistare, ha bisogno di una compagnia e quindi la ragazza, non pensandoci due volte, si rende disponibile per l’ingaggio, ma alla fine della settimana, questo incontro si trasformerà in un amore per tutta la vita. Grazie a questo amore i due protagonisti cambieranno la loro idea della vita per poter stare insieme. La struttura scenografica sul palco è unica per tutta la durata dello spettacolo e muta per creare scene diverse. Un’idea furba e intelligente che ha permesso cambi di scena nel divenire dello spettacolo. Attori molto bravi e coinvolgenti. Canzoni create apposta per il musical, che potevano risultare più o meno gradite per il pubblico in sala che, tuttavia, in alcuni momenti si è lasciato coinvolgere tenendo il tempo battendo le mani. Importanti e significative sono anche le frasi d’effetto dette da Vivian, che riesce a trovare la forza in sé stessa e che osa scegliere ciò in cui credere fermamente, come «Sono così stanca di lasciare che tutti, tranne me, definiscano il valore di una donna», «Io valgo», e «Voglio una favola». Pretty Woman ha saputo coinvolgere spettatori di tutte le età: dall’adulto, che sicuramente negli anni ‘90 aveva visto il film con Julia Roberts, ai giovani che come me non conoscevano la storia.

ALESSANDRA SCOGNAMIGLIO
5ª istituto Einaudi

Mercoledì 22 marzo si è tenuto lo spettacolo teatrale Il Gabbiano, di un’ora e 50 minuti, a Cremona, nel teatro Amilcare Ponchielli. È difficile raccontare a parole la sensazione che la messinscena mi ha suscitato. Mentre lo spettacolo si evolveva sentivo uno strano sentimento di inadeguatezza, quasi a volermi chiedere: «ma io cosa ci faccio qui?» e a non ricordarmi più il perché avessi scelto la visione di questo lavoro. Non saprei dire con esattezza la tematica principale che è stata approfondita ma posso dire che sentimenti ho provato. Ho provato sentimenti contrastanti di gioia, angoscia e inquietudine. Sentendo una spettatrice del pubblico potrei definire quest’opera un dramma delle speranze deluse, amato comunque dalla gente di teatro, dati i lunghi applausi finali. Il Gabbiano viene considerato dalla critica il testo più rappresentato di Cechov in ogni epoca e in ogni luogo per la profondità nell’analisi della condizione umana e per la felicità poetica di storia e personaggi. La felicità intesa come momentanea in quanto le cose eterne, secondo Cechov, non esistono. La felicità è legata al lago in cui tutti si rifugiano quando sono nella paura, forse perché il lago mischiato al cielo dà speranza. In questo spettacolo si mettono in risalto il paesaggio attraverso le luci, a volte molto forti a volte molto sfumate e malinconiche. È come se i personaggi fingessero tutti di non essere il ruolo che interpretano. Questo mi ha colpito. Per esempio, un uomo era interpretato da una donna e una giovane ragazza da una donna. Questo ha contribuito a rendere difficile la comprensione. Ma alla fine penso che non si tratti di comprendere ma di trovare una interpretazione. La mia è questa: «La vita è una, non continuiamo a inseguire gabbiani nella speranza che tutto ci vada bene. Perché a volte, sognare comporta dei rischi, e volare, di più».

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