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MOSTRA A MANTOVA

Parkinson, quando l’arte diventa cura

Da venerdì Palazzo Te ospita 'Dadapittutatàbauh', le opere di Pitturazzi, architetto cremonese, malato dal 2004. Con Stefania Mattioli ha ritrovato l’emozione del disegno

Barbara Caffi

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bcaffi@laprovinciacr.it

09 Maggio 2023 - 09:18

'Dadapittutatàbauh': l’arte diventa cura

Roberto Pittu Pitturazzi con Stefania Mattioli

CREMONA - Dadapittutatàbauh. Nel titolo c’è tutto: i riferimenti colti al Dadaismo e al Bauhaus, lo spirito giocoso da scioglilingua infantile, e i due protagonisti - Roberto Pitturazzi e Stefania Mattioli - di un progetto che mette insieme l’arte e l’amore, la malattia e la cura, il mutare delle relazioni quando una malattia degenerativa entra nella tua vita a gamba tesa. Che poi non è sola la tua vita, ma anche la vita di chi ti sta vicino.

Dadapittutatàbauh. Disegnare insieme è l’essenza è una mostra che sarà aperta allo Spazio Te di Palazzo Te, a Mantova, da venerdì prossimo, con inaugurazione alle 17, fino al 31 dicembre. Qui saranno esposte nove riproduzioni fotografiche di altrettante opere scelte fra le sessanta realizzate, in vari formati e con diverse tecniche, da Pittu dal 2018 al 2021. Palazzo Te - grazie al suo direttore Stefano Baia Curioni, che ha apprezzato il lavoro e lo ha voluto esporre - è l’approdo, il porto, il punto d’arrivo di un viaggio entusiasmante e qualche volta doloroso, è il mettersi a nudo come artista e come persona.

Pitturazzi è architetto e designer, ha progettato case, barche e oggetti. Ha sempre avuto una matita in mano, anche quando compilava la lista della spesa o l’itinerario di un viaggio. Quando lavorava o quando girava l’India da solo, quando spiegava le cose o scriveva il menu della cena.

blu

Il blu mai visto raffigurato da Roberto Pitturazzi

Il Parkinson - la diagnosi è del 2004 - ha cambiato tutto, mangiandosi un pezzettino alla volta della vita di prima. Una malattia degenerativa, puoi rallentarla ma non ne inverti la rotta. Anche se fai qualcosa di meraviglioso e folle come costruire un catamarano in una cascina nel bel mezzo della pianura padana, chiamarlo Barbagianni e farci un giro del Mediterraneo durato mesi, in un 2007 che oggi appare lontanissimo. Perché se il tuo sogno è quello, lo devi realizzare finché ce la fai. Finché il tuo corpo ti ubbidisce e finché i farmaci non ti intorpidiscono, finché sei quello di sempre e non una persona malata. Finché gli altri non ti considerano una persona malata.

«Più una malattia si vede più gli altri smettono di vederti – precisa Mattioli -. Con il Parkinson diventi un corpo storto, obliquo che incespica; un tipo strano, lento che non trova le parole, si muove male e non capisce: uno da cui stare alla larga. Ma tu, sotto sotto, sei quello di prima, hai le stesse passioni e desideri; gli stessi difetti, hai voglia di fare, di viaggiare, di stare con gli amici, di essere compreso. È vero, nel corso della vita le abilità individuali si trasformano, ma questo non può essere inteso solo come un limite: la prigionia del corpo non deve annullare la persona». Il disegno per Pittu è sempre stato un modo per comunicare, con sé stesso e con gli altri, oltre che uno strumento professionale. E così quando il tratto si è fatto via via più incerto, il disegno si è dapprima interrotto e poi nel 2018 è ricominciato «in modo diverso, ma bello».

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Una delle opere di Pitturazzi: "Oggi ucciderei volentieri il Parkinson"


Disegnare, dipingere si sono trasformati in una nuova urgenza, in un linguaggio nuovo, tutto da creare. «Per me - ha detto - è molto importante provare a capire se sono ancora capace. Sapere che le mie tele suscitano interesse è vitale».

«Negli ultimi quattro anni – aggiunge Mattioli - disegnare insieme ha significato arrivare all’essenza, divertirsi con i colori per muoversi stando fermi, per superare il confine domestico e l’isolamento sociale. È servito a dare corpo a quelle sensazioni piccolissime, imponderabili, che possono rivelarsi uno strumento potente di comunicazione perché, come dice Pittu: ‘è strano come in poche righe si possa riassumere tutto’».

bacio

L'opera "Pensavo fosse il Bacio di Klimt"

Pennelli, tele, colori acrilici hanno ripreso a raccontare un mondo ricco di riferimenti artistici - Alberto Burri, Alberto Giacometti, Gustav Klimt, Vasilij Kandinskij, Georges Perec, Roman Opalka, Zera Dogan e molti altri - e frutto di un immaginario imprevedibile, stralunato e un po’ sghembo: chi, se non Pittu, potrebbe disegnare una casa in un tombino da cui si vede il mare? O chi, se non lui, pensare a un blu come non si era mai visto?

L’arte è un modo di raccontare e di raccontarsi. È, in questo caso, il bisogno di non essere identificato solo con una patologia. L’arte è raggiungere gli altri quando gli altri si allontanano, l’arte è riconoscersi quando tu stesso fai fatica a ricordare chi eri. L’arte è uno scarto di lato, una deviazione imprevista del viaggio.

tombino

Ho disegnato una casa di una persona che vive in un tombino, piccola, organizzata, si vede il mare

«Le didascalie delle opere sono tratte dalle nostre conversazioni - spiega Stefania Mattioli -. Per anni ho annotato su piccoli quaderni le frasi che mi colpivano e mi facevano pensare oppure ridere, comprese quelle nate dalle allucinazioni causate dai farmaci o dall’afasia. Per continuare a comunicare e interagire basta adattarsi, cambiare registro, lasciarsi sorprendere e seguire il flusso senza contrastarlo».

Da oltre vent’anni, Mattioli si occupa di comunicazione e relazioni con il pubblico in ambito sanitario, anche attraverso l’impiego di arte, cinema, letteratura e l’applicazione della Medicina narrativa. Sa che l’arte può essere una cura, può placare l’urgenza di comunicare. Così come sa che non è la malattia a fare di una persona un artista: Pittu, artista, lo era prima e lo è ora. I suoi lavori hanno il pregio della leggerezza, dell’ironia, dell’allegria. E anche della riflessione, ovviamente. Dadapittutatàbauh è qualcosa di più di una mostra: è una porta che si apre, è il disvelamento di uno scorcio di vita imperfetta. E proprio per questo meravigliosa.

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