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ARRIVA IL TOUR «T’INNAMORERAI DI NOI»

Masini al Ponchielli: «Alla fine si cresce insieme»

L’artista toscano il 7 dicembre a Cremona: «È uno dei più bei teatri europei e ha una storia straordinaria»

Luca Muchetti

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11 Ottobre 2022 - 11:29

Masini al Ponchielli: «Alla fine si cresce insieme»

CREMONA - «Ricordo bene Cremona e soprattutto il Ponchielli: infatti sono stato proprio io a indicare il vostro teatro e la vostra città. Il Ponchielli è uno dei più bei teatri europei, con una storia, un colpo d’occhio e un prestigio a mio parere straordinari per chi decidesse di fare dei tour teatrali».

Marco Masini non vede l’ora di tornare al suo pubblico, e a Cremona lo farà la sera del 7 dicembre alle ore 21 per una tappa del T’innamorerai di noi - oltre 30 anni insieme: «Gli ultimi sono stati due anni di silenzio, separazione e lontananza, ma adesso siamo tornati a innamorarci – racconta lui –. Perché quello che sento e vedo tra di noi è questo: un continuo innamoramento. Non solo l’uno dell’altro, ma anche del cantare insieme la vita e innamorarci insieme di essa. Il titolo del tour rappresenta un po’ questo livello, che si alza sempre di più, di amore reciproco, che inevitabilmente mi riporta indietro nel tempo a ripensare ai momenti dove ci stavamo innamorando per le prime volte». Un tempo che ha comunque lasciato tracce cremonesi forti nella memoria del cantante di Firenze, protagonista di un memorabile concerto proprio a inizio anni Novanta col tour di T’innamorerai e più tardi, nel 2007, ritornato in città insieme a Umberto Tozzi. «Ricordo di passeggiate in città, in centro: Cremona è una città molto bella e caratterizzata da un grande ordine, un particolare che non poteva non rimanere poco impresso a un segno zodiacale vergine come me».

Questo tour sembra nascere anche dalla voglia di riannodare i fili di un discorso iniziato trent’anni fa. Come è guardare al passato, da quel palco, oggi?
«È una cosa che racconto, ma diciamo che lo guardo meno. Mi piace riviverlo insieme a tante persone che hanno dimostrato in questi anni tanto affetto, amore e attenzione anche nei momenti più difficili. Persone che mi hanno coccolato e fatto capire certe cose, perché alla fine si cresce insieme. Io credo di avere avuto dei regali bellissimi da una generazione che ne ha messa al mondo un’altra con le mie canzoni. Questo succede quando si cresce con un pensiero musicale: lo si trasmette ad amici, figli, nipoti. Con questo tour ho toccato con mano il fatto che la mia generazione è raddoppiata e in alcuni casi triplicata. Questo provoca un po’ di nostalgia, perché dà la sensazione del tempo passato, ma ti fa capire anche che in qualche modo tutto questo tempo ha costruito qualcosa di importante».

Le viene riconosciuta una grande coerenza nella musica che fa…
«Ho cercato di crescere insieme alla musica. Io venivo dai Toto, dai Chicago, dai Pink Floyd, dai Beatles e dal pop italiano anni Settanta e Ottanta, e credo sia normale imparare anche da chi viene dopo. Crescendo ho ascoltato tutti quelli che sono arrivati più tardi di me. Musica bella o brutta c’era ieri come oggi. È cambiata la fruizione, la musica è cambiata come è cambiato il mondo. Oggi scrivo cose che sono la naturale evoluzione di un ragazzo che aveva 25 anni quando ha iniziato e ora ne ha 58 e porta la barba bianca».


Il suo è un pubblico particolare: ha combattuto con lei anche in momenti dolorosi della carriera. Ricordiamo quell’abbandono delle scene, per fortuna temporaneo, dal quale è tornato più grande di prima: è giusto parlare di ‘due carriere’ di Marco Masini?
«Ma no, la carriera è una sola: è la strada, è la vita. Ci sono momenti più difficili e altri più felici. Quelli dolorosi sono il centro della carriera stessa, perché poi se ne esce solo con sudore, sacrificio, umiltà, consapevolezza e con logica. La carriera è un’altalena nella quale nei punti più bassi ho capito cosa fare, cercando di farlo con grande amore verso questo mestiere. Ringrazio quindi anche i momenti di quella che potrebbe sembrare un’altra carriera».

Il suo nome è legato anche a quello di un immortale della musica italiana: Giancarlo Bigazzi, dal quale è stato prodotto e con il quale ha collaborato anche per la colonna sonora di uno dei film più amati di sempre: Mediterraneo. Che ricordo ha di Giancarlo?
«Ho avuto un rapporto da padre e figlio, mi ha insegnato tanto ma purtroppo non mi ha tramandato la sua genialità. Quella là si ha oppure no. Le collaborazioni alle colonne sonore sono state importanti, hanno fatto scuola. Lì ho capito quanto conta la musica in un film. Ho collaborato in Mery per sempre, in Ragazzi fuori, e poi da esterno ho collaborato a Mediterraneo: la stavano registrando e io ero presente perché impegnato a registrare altre cose. Essendo lì ci siamo confrontati mille volte su certe sonorità da usare, perché la mia passione è legata un po’ a tutti i generi».


È di poco tempo fa la notizia di un documentario di prossima uscita su Mina. Che rapporto ha con la musica della Tigre?
«L’ho conosciuta e l’ho vista una volta sola a Forte con Renato Zero negli anni Novanta. Conosco Massimiliano Pani e sono molto amico di sua figlia Benedetta. Mina rappresenta un mondo che non esiste più ma che continua a insegnare: qualunque cantante dovrebbe ascoltare Mina. Ha un modo di rendere le canzoni ancora più belle, perché quando mette la voce stravolge completamente la canzone, di conseguenza la musica si deve adattare al suo modo di cantare. Oggi avviene il contrario. Ricordo che lei stessa mi raccontò questa cosa a cena. Mi accolse con grande gradimento perché ero prodotto proprio da Bigazzi, uno straordinario biglietto da visita».

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