L'ANALISI
02 Agosto 2022 - 05:05
1894-2021
CREMONA - Pochi se la ricordano, l’estate del 1987 in Valtellina, quando una serie di frane e smottamenti provocarono 53 morti e 23mila sfollati, la completa distruzione di 341 abitazioni e il danneggiamento di altre 1.545. I danni, calcolati in lire, ammontarono a quattromila miliardi. Appassionato di fotografia, montagna e ghiacciai, Roberto Caccialanza comincia a frequentare la vicina Valmalenco dall’anno successivo.
Ne sono nati una mostra, un piccolo catalogo e un nuovo e più corposo libro che vede la luce in questi giorni: Engadina & Valmalenco. Ghiacciai: allerta rossa. A parlare sono soprattutto le immagini terribili di ciò che era e non è più. Attraverso oltre 160 fotografie, spiega Caccialanza, «la situazione recente, fino all’agosto 2021, viene messa a confronto con i trentatré anni precedenti, ovvero partire dal 1988, estendendo in taluni casi il lasso di tempo fino al primo Novecento o ancora più indietro, alla seconda metà dell’Ottocento, grazie a fotografie della collezione Caccialanza oppure concesse da Archivi pubblici e privati, in Italia e all’estero. I ghiacciai presi in esame sono: Cambrena, Disgrazia/Sissone, Fellarìa ovest/est, Fex/Tremoggia, Forno/Sella del Forno, Morteratsch/Pers, Muretto/Rossi, Vadret da Palü, Sassa di Fora, Roseg/Tschierva/Sella, Scalino, Scerscen inf./sup. e Vedretta di Caspoggio, Vazzeda, Ventina/Canalone della Vergine/Pizzo Ventina».
«In poco più di trent’anni - prosegue Caccialanza - la situazione glaciologica, purtroppo, è cambiata in modo radicale. In taluni casi intere porzioni di ghiacciaio non esistono più, sono scomparse nel giro di pochi anni, rendendo il panorama irriconoscibile rispetto al passato: faccio riferimento in particolare alla lingua valliva del ghiacciaio di Fellarìa occidentale, svanita fra il 2004 e il 2007. Vi sono, poi, altri ghiacciai in condizione di estrema sofferenza, fra i quali il Ventina: chiunque si avventuri all’interno dell’anfiteatro morenico può rendersi conto – grazie ai cartelli del percorso glaciologico – di quanto il ghiacciaio si sia ritirato sia in lunghezza che in spessore. Ci si sente piccoli, minuscoli, impotenti, dentro a quelle morene che solo cento anni fa contenevano un corpo glaciale che le superava in altezza (oltre 150 metri di profondità), mentre oggi sono diventate un deserto di sassi e polvere. Altri corpi glaciali che vengono nominati poco, ma il cui ritiro è particolarmente significativo, sono quelli delle Vedrette di Caspoggio e di Scerscen Inferiore, quest’ultimo ridotto non più a ghiacciaio unico come un tempo, ma a piccole porzioni sparse in un mare di rocce, annidate in anfratti dove il sole e il caldo – per il momento – faticano a scioglierli. Altro esempio è il Morteratsch, che ho rivisto a distanza di una manciata di anni: sono rimasto basito perché non mi aspettavo che un ghiacciaio vallivo così imponente potesse ritirarsi così tanto in un lasso di tempo esiguo. È stato un vero e proprio shock. Purtroppo sarà sempre peggio».
Inevitabili le ripercussioni, anche immediate. «L’effetto si è visto quest’estate - conferma Caccialanza -: alcuni rifugi alpini sono rimasti senz’acqua corrente, inoltre, come è ben noto, il Po ha stabilito nuovi record negativi uno dopo l’altro, per settimane, raggiungendo i -8,58 metri sotto lo zero idrometrico (un valore negativo che si credeva impossibile da raggiungere!). E purtroppo sappiamo bene che non è finita qui, avendo davanti ancora il mese di agosto notoriamente avaro di precipitazioni». L’emergenza climatica è una realtà di cui stiamo già pagando il conto, per le prossime generazioni sarà ancora peggio.
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