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CASALBUTTANO: AL BELLINI

Mogol, il grande poeta della canzone italiana si racconta

In scena stasera alle 21 lo spettacolo che ripercorre la sua straordinaria carriera con aneddoti legati alla collaborazione con Battisti e altri big della musica italiana

Luca Muchetti

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redazioneweb@laprovinciacr.it

19 Marzo 2022 - 05:00

Mogol

Giulio Rapetti in arte Mogol

CASALBUTTANO - «In molte canzoni c’è la mia vita, il pubblico scoprirà parte del motivo per cui ho scritto certi testi». Mogol descrive così, senza troppo rivelare, lo spettacolo che andrà in scena stasera alle ore 21 al teatro Bellini. Mogol racconta Mogol è la narrazione in prima persona del grande poeta della canzone italiana, unita all’interpretazione delle indimenticabili canzoni di Lucio Battisti e non solo, eseguite da Monia Angeli alla voce, Mauro Gubbiotti al pianoforte e Riccardo Cesari alla chitarra. Una scaletta che comprenderà anche Mi ritorni in mente, oltre ad altri titoli senza tempo tra i quali Anche per te, La canzone del sole, Fiori rosa, fiori di pesco, 29 settembre, Emozioni, Pensieri e parole, Un Amico in più, Vita, Oro, L’emozione non ha voce e tante altre. Mogol racconterà dal palco aneddoti legati alla sua collaborazione con Battisti e con altri big della musica italiana.

Mogol, la musica di Battisti e le sue parole riescono ad arrivare forti e chiare a ormai tre generazioni di italiani…
«È ciò che continua a farmi sentire molto fortunato. Quando le scrissi non potevo sapere che le canzoni avrebbero vissuto così a lungo».

Forse c’è qualcosa di più però, perché sono tante le canzoni degli anni Sessanta e Settanta che tutti conoscono, quando si arriva al ritornello. Chi conosce le vostre canzoni però le conosce a memoria per intero, da cima a fondo, come fossero piccoli romanzi.
«È il motivo per cui durante queste serate mi diverto anche molto! (ride, ndr). Perché la gente canta… le canta. C’è una grande differenza fra le canzoni importanti che nel tempo sono state scritte e quelle più recenti: oggi è difficile trovare una canzone che tutti cantano insieme. Si è mai domandato perché?»

Una immagine di Mogol con Lucio Battisti

Non saprei rispondere.
«Glielo dico io. Secondo me è perché una volta i disc-jockey erano persone preparatissime, sapevano valutare molto bene il valore delle canzoni, e così erano le più belle a essere trasmesse. Oggi è molto diverso. Un ragazzo mette sui social il suo pezzo, magari il primo che scrive, e incontra il favore di tanti coetanei perché parla lo stesso linguaggio, e magari fa successo. Fanno bene, perché è una prima possibilità di lancio. Però il numero dei follower è diventato il metro di giudizio della canzone. Non c’è più un giudizio di persone esperte. E così il pubblico cambia, diventa quasi completamente di giovanissimi».

Giovanissimi che ascoltano molto rap, un genere in cui i testi hanno un ruolo di primissimo piano. Cosa ne pensa?
«È un genere che ha perso la melodia, sono rimaste la ritmica e le parole. E una canzone così, quando uno l’ha sentita tre volte… è come aver sentito tre volte la stessa barzelletta: ogni volta ride un po’ di meno».

Ci sono canzoni che per lei hanno mutato significato nel tempo?
«Ce n’è una che in particolare è emersa, il cui successo è venuto solo col tempo, interpretata di volta in volta da voci diverse. Si intitola La mente torna, è stata incisa da Mina. Racconta la storia di una donna che tenta di uscire da un innamoramento che la rende schiava ma che alla fine, ci ricade. È come se fosse tornata dal passato, non potevo immaginare che avrebbe avuto questa storia. Poi ci sono canzoni come Anche per te che rimangono perché danno una emozione forte: questo desiderio di aiutare gli altri, nonostante gli impedimenti di famiglia, lavoro, ecc.».

Mina in uno scatto effettuato negli anni Settanta

Quale è il momento in cui si accorge che un testo funziona? Che un testo per una canzone è pronto?
«È sempre una valutazione personale. L’automatismo è quella parte di noi che prova che il talento è stato coltivato. Quando ci rendiamo conto di essere in stato di grazia, quando abbiamo depositato in una parte del nostro cervello una parte di esperienze capaci di agire da sole. Mi accorgo se ci sono o meno. Il primo a valutare quindi sono io».

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