L'ANALISI
MUSICA. L'INTERVISTA
07 Agosto 2021 - 06:05
Willie Peyote
CREMONA - Sanremo lo ha reso più consapevole, ma non lo ha cambiato. Willie Peyote torna a portare se stesso e la sua musica sul palco nel corso di un lunghissimo tour estivo che lo condurrà, il 3 settembre alle 21.30, anche in piazza del Comune per il primo appuntamento della rassegna «Siamo fuori», organizzata dal teatro Ponchielli. Rapper ormai abilissimo nel confondere i confini fra rap e canzone, sarà accompagnato da una band formata da Luca Romeo (basso), Dario Panza (batteria), Daniel Bestonzo (tastiere synth) e Enrico Allavena (trombone), musicisti che lavorano da tempo accanto all’artista torinese.
Il suo tour ha davvero un sacco di date: come si sta su un palco con una band in questa situazione, però, ancora molto in bilico? Per di più ricordiamo un suo live al Porte Aperte Festival di qualche anno fa a Cremona: la dimensione fisica è importante.
«La dimensione fisica è importante, non posso negarlo. È strano oggi trovare le persone sedute. Lo è stato però più che altro in occasione della prima data. Poi ci siamo accorti che la voglia dei tutti noi di partecipare ai concerti è così grande - anche se vincolata - che la sensazione è poi quella di avere un pubblico partecipe in tutto e per tutto nonostante le limitazioni. Anzi, si sta decisamente bene dopo un anno di stop. Certo, aspettiamo di tornare a pogare l'uno addosso all’altro.
La sua canzone portata a Sanremo, Mai dire mai, ha convinto praticamente tutti, mettendo d'accordo sia il pubblico più legato al rap sia quello più legato alla canzone. Negli ultimi anni poi ha collaborato con artisti molto diversi come The Bluebeaters, Selton e Fast Animals and Slow Kids: viene da chiedersi che strada prenderanno le tue prossime canzoni.
«Non so rispondere: cerco di farmi una idea di quello che sarà ascoltando molta della musica che arriva da Oltreoceano. Che sia rap o che siano cose più suonate, il trend arriva bene o male dagli USA. Tra gli ultimi usciti ci sono i dischi di J. Cole, Tyler, the Creator, e poi arriva quello di Kanye West. Così dovremmo avere più chiara la direzione che prenderà il movimento urban. Da sempre io cerco di coniugare l’aspetto rap con tanta musica suonata: quindi sicuramente ci sarà una parte importante della band nei miei prossimi lavori. Chi suona live infatti suona anche nei miei dischi, costruiamo tutto quanto insieme. Ma non so ancora quale direzione prenderà tutto questo».
Mai dire mai mette sul tavolo logiche un po’ perverse legate anche al suo settore: come si trova nella veste di punzecchiatore e allo stesso tempo di artista che, comunque, immaginiamo debba fare i conti con certi meccanismi?
«I meccanismi esistono e i due mondi, quello della discografia e quello dei social network, oggi sono molto uniti: in fondo la promozione e la diffusione della musica passa da lì. Come ho trovato la mia quadra nella comunicazione attraverso i social, l’ho trovata nella musica. Vivo i social come un mezzo importante, questi però non mi devono vincolare, facendomi diventare quello che non sono. Non li uso molto, non li uso oltre una certa soglia perché non mi piace raccontare il privato o essere presenzialista. Il punto è come imparare a convivere con questi strumenti. La mia produzione punzecchia, è vero, ma è volta a capire come rimanere noi stessi mentre il mondo intorno cambia. Non sono esterno, il mio racconto è sempre orizzontale. Cerco di stare dentro la questione senza dovermi violentare».
Spaventa di più il Sanremo o il post-Sanremo?
«Io non mi immaginavo niente. Sono andato senza aspettarmi nulla, facendo il mio con qualcosa che mi rappresentasse e al tempo stesso fosse consono al contesto. Non mi sembra sia cambiato granché, devo essere sincero. Certo oggi il mio pubblico è più ampio, ma la gente che viene ai nostri concerti è gente che conosce anche i pezzi più vecchi. La mia carriera non è cambiata, ma non volevo farla cambiare: volevo farmi vedere restando coerente. Non ho scritto la hit che poi devo portarmi dietro tutta la vita. E per fortuna. Quell’esperienza mi ha cresciuto, ma sono rimasto uguale, sia prima che dopo».
In una intervista raccontava di come, dalla pandemia, lei sarebbe uscito non tanto migliore o peggiore, ma piuttosto diverso. Questa diversità già la riesce a leggere?
«No, non abbiamo ancora i mezzi per trarre le somme del periodo. È tutto troppo vicino. Sono riuscito a coltivare un po' di più la pazienza, e a tenere a bada la voglia di fare. In certi momenti bisogna restare in attesa. Sembra una piccolezza, ma frenare l’ansia causata dal fatto che non si sta facendo nulla non è cosa da poco. Forse un po’ per l’età che avanza, oggi sono più calmo e razionale».
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