Cerca

Eventi

Tutti gli appuntamenti

Eventi

L'INTERVISTA

Ricky Tognazzi: «A Ugo sarebbero mancati gli amici»

Il regista racconta come ha affrontato il lockdown: «È importante che lo Stato intervenga per aiutare l’intero settore»

Cinzia Franciò

Email:

cfrancio@laprovinciacr.it

09 Maggio 2020 - 10:19

Ricky Tognazzi: «A Ugo sarebbero  mancati gli amici»

Ricky Tognazzi

di Nicola Arrigoni

CREMONA (8 maggio 2020) -«Noi siamo isolati, abbiamo una casa alle porte di Roma, in periferia, e la situazione della città non la viviamo direttamente. Siamo chiusi in casa, per fortuna una grande casa con giardino», racconta Ricky Tognazzi, regista, attore in lockdown come tutti i lavoratori dello spettacolo.

C’è un mondo, quello degli artisti, che chiede di avere voce, di essere considerato, che non ha tutela.
«All’emergenza si unisce, la strana tipologia dei lavoratori dello spettacolo. Per dirla alla francese siamo degli intermittenti, ovvero lavoriamo su chiamata, quando si gira un film, o si mette in scena uno spettacolo. Il Covid-19 ha bloccato tutto, ha congelato ogni attività, ha messo l’intero settore in pausa, come tutti, ma con la differenza che molti di noi non hanno tutele».

Tutto questo nel mondo del cinema interessa quante persone?
«Il comparto coinvolge 170 mila lavoratori. Quando si parla di cinema si parla di attori, registi, scenografi, ma anche costumisti, tecnici, maestranze, un mondo complesso che vive sulle diverse produzioni, che ha ingaggi a chiamata, in maniera discontinua».

A proposito di lavoro, lei cosa stava facendo prima del blocco?
«Stavo girando con Sabrina Ferilli una fiction tv che si connotava come una sorta di seguito de L’Amore strappato, ovviamente tutto si è bloccato».
Si ferma e poi dice «Scusi, Simona mi ha portato il caffè, mia moglie mi vizia, ma è anche un caterpillar».

Come va la convivenza?
«Bene, io e Simona (Izzo, produttrice e sceneggiatrice) siamo abituati a lavorare insieme, con tutto ciò che questo comporta. Ma su eventuali tensioni o dissapori, vince sempre il nostro legame, il fatto che siamo una coppia che sa stare insieme».

Anche in questa situazione di convivenza ai domiciliari?
«Anche in questa situazione che fino a febbraio non ci saremmo aspettati. Poi, lo ripeto, siamo fortunati, abbiamo una casa grande e ognuno può avere i suoi spazi».

Come vede una possibile ripartenza?
«In questo momento proprio non riesco a immaginarmela. Non ci sono indicazioni e quelle che ci sono non fanno certo pensare a una ripartenza possibile per il nostro settore».

Cosa intende dire?
«Quello che dico vale per il cinema, come per il teatro. Mi chiedo, con le necessità del distanziamento sociale, come sarà possibile ridare vita a set cinematografici. Nel nostro lavoro le distanze saltano. Basti pensare quante persone stanno dietro una cinepresa, non c’è solo il regista, ci sono tanti altri professionisti. Ma anche banalmente, se sul set ti si rompe il costume, bisogna sostituirlo, ricucirlo, riadattarlo. E questo è impossibile col distanziamento sociale. Pensiamo ai truccatori… E poi a quello che fanno gli attori. Insomma, la vedo dura. Ed anche se dovessimo ricominciare chi assicurerà la troupe? Chi si prende i rischi. Anche rispettare i tempi di lavorazione sarebbe difficile».

Perché?
«Beh, ipotizziamo che un membro della troupe si ammali di Covid-19. A questo punto tutto si fermerebbe, chi ha avuto contatti con la persona malata sarebbe messo in quarantena. Per assicurare i tempi ci vorrebbe una doppia troupe in caso di emergenza. Mi sembra che tutto questo sia poco praticabile».

La soluzione?
«Non lo so, certo la generosità del mondo dello spettacolo è tale che oggi tutti possiamo dare per scontato la possibilità di vedere un film in tv o sul tablet. Ma dietro quel film che ci tiene compagnia c’è un mondo che lavora, una macchina complessa, dei lavoratori con le loro famiglie che non hanno voce. Per questo lo Stato dovrebbe intervenire, dovrebbe dare un segno di attenzione a questo settore».

Che tipo di cinema pensa genererà questa esperienza pandemica? Quali saranno le narrazioni?
«Ipotizzo, perché mi sto facendo questa domanda anche io. Credo che assisteremo ad una sorta di rinascita di quello che è stato il neorealismo nell’immediato secondo dopoguerra. Non sarà possibile non confrontarsi con quello che stiamo vivendo, ma lo si farà ognuno con il proprio stile con storie comiche dal finale tragico o con tragedie comiche».

E mentre parla si sente Simona Izzo che un po’ suggerisce e Ricky divertito afferma: «Mia moglie è un po’ cuoca, un po’ sceneggiatrice. Entrambi lavoriamo nel mondo dello spettacolo, ma posso assicurare che il nostro rapporto non è mai stato intermittente».

Quando il pubblico tornerà e come tornerà al cinema? Non si rischia che il Covid-19 abbia dato il colpo di grazia alla fruizione in sala?
«Mi auguro di no. Certo l’ipotesi del Drive in come è stata fatta mi trova molto perplesso. Una cosa è certa, quanto sta accadendo si è inserito su una situazione non certo facile, per quanto riguarda la fruizione dei film in sala, già in crisi profonda da anni. Ma io sono un inguaribile romantico e idealista, credo che la voglia di vedere i film sul grande schermo non morirà, per quanto molte modalità di fruizione facciano della sala, apparentemente, una sorta di appendice. In realtà non è così ed è forse anche il motivo per cui il cinema non morirà. In quello schermo su cui si proiettano storie, racconti, emozioni, vite noi ci riflettiamo, ci vediamo e ci riconosciamo».

La diffusione dei film on demand e addirittura l’uscita in prima di alcune pellicole in streaming stanno scalzando la sala e stanno incassando molto…
«È un aspetto ulteriore che ha sviluppato la fruibilità da tablet o computer dei film. In questo modo si cerca di dare continuità a una programmazione che è bloccata, che non può arrivare nelle sale. Può essere una soluzione e come tutte le soluzioni è ben venuta. Non dimentichiamo che quando parliamo di audiovisivo, parliamo anche di tv. Le produzioni sono ferme, come quelle cinematografiche, gli incassi pubblicitari sono crollati. Anche questo aspetto avrà delle ricadute. Oggi come oggi rischiamo di dare per scontato la fruizione di film, serie tv e telefilm, ma così non è».

Come vive questa ripartenza?
«Con un po’ di preoccupazione. Intorno vedo tanta rabbia, mi fa paura il montare di situazioni di disagio e di povertà. Vedere i vigilantes davanti ai supermercati. Mi spaventa anche l’insistere dei media con il tormentone andrà tutto bene. Ci siamo giocati il jolly della tranquillità. Questa voglia – comprensibilissima – di riprenderci la vita e di ritornare alla normalità mi spaventa un po’. Non vorrei fosse un po’ prematuro. Il problema è che i media, le tv e i giornali sono tutti allineati, è difficile trovare una Radio Londra che ci offra un’altra prospettiva. E poi ti scontri con la realtà, che è ben diversa da quello che ti dicono».

A cosa si riferisce?
«A quello che mi è accaduto l’altro giorno all’autogrill. Dopo tre mesi di domiciliari senza fare nulla, sono andato a fare benzina. Mi fermano alcuni poliziotti per chiedermi perché mi trovavo lì, me lo dicono in tono un po’ perentorio. Di primo acchito avrei voluto rispondere, poi entriamo in sintonia, spiego il perché ero lì. Non ho potuto non notare che non avevano le mascherine e in tema di sicurezza e osservanza delle norme lo faccio notare ai poliziotti. Loro mi hanno risposto: non ce le abbiamo. E mi si è gelato il sangue e ho pensato ai morti al Nord, erano i giorni in cui i tg parlavano del carabiniere morto a Bergamo. In questo senso, voglio dire che la realtà raccontata è diversa da quella vissuta».

Anche gli spazi, i tempi della nostra vita sono cambiati…
«Guardo con stupore la natura che si riprende i suoi spazi, come molti hanno fatto notare. Ma devo essere sincero non so se mi trovo in un film di Disney o piuttosto in un film horror. Certe volte credo sia più questa seconda ipotesi. Qualcuno dice che le nostre città sono più belle, in realtà a me così vuote, così silenziose mi mettono un po’ di angoscia e un po’ di inquietudine».

Ugo come avrebbe vissuto questa situazione?
«Ugo era un anticonformista. Sicuramente nel suo ottimismo di fondo si sarebbe rinchiuso a Velletri, ma avrebbe trovato una soluzione paradossale, inedita, come imprevedibile e fuori dagli schemi era lui: si sarebbe dedicato all’agricoltura, a coltivare la terra. Ma certo ciò che avrebbe sofferto sarebbe stata la mancanza della convivialità, gli amici, la possibilità di stare a tavola con chi più amava, di fare baldoria sempre e comunque».

Commenta scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su La Provincia

Caratteri rimanenti: 400