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L'INTERVISTA

Stefano Massini: «Noi siamo utili»

L'attore e drammaturgo è venerdì primo maggio alle 21,20 su Rai5 nel monologo Sul Lavoro Fondata

Nicola Arrigoni

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cfrancio@laprovinciacr.it

01 Maggio 2020 - 18:03

Stefano Massini: «Noi siamo utili»

Stefano Massini

CREMONA (1 maggio 2020) -«Il ministro Dario Franceschini ha voluto incontrarci oggi (ieri per chi legge, ndr), parlare con i lavoratori dello spettacolo. Oltre al sottoscritto c’erano Emma Dante, Nicola Piovani, Monica Guerritore, Roberto Bolle, solo per citarne alcuni. Emma Dante è intervenuta citando il mio intervento a Piazza Pulita, Io non sono inutile. Lo ha fatto con la forza che la caratterizza e ciò mi ha inorgoglito un po’ e mi ha fatto piacere». Lo racconta Stefano Massini, autore teatrale, romanziere, attore che ieri sera era, come ogni giovedì, a Piazzapulita di Corrado Formigli. Stasera alle 21,20 sarà invece su Rai5 con Sul Lavoro Fondata – Persone, Mestieri, Pensieri, un mosaico narrativo dedicato al lavoro in occasione della festività del Primo Maggio: «Non è uno spettacolo, né una conferenza. È una riflessione, un insieme di domande e risposte su cosa sia diventato il lavoro oggi – ci tiene a specificare -, ma soprattutto non è teatro in televisione, è televisione. Il teatro può essere solo in presenza, è un’altra cosa».

Il tema del lavoro è un tema ricorrente per lei, basti pensare al testo 7 minuti, ma anche per certi versi a Lehman Trilogy e al saggio che ha pubblicato per Il Mulino.
«Quel saggio intitolato Lavoro è del 2016. Riflettere sul lavoro è riflettere su ciò che ci tocca profondamente e, per certi versi, su ciò che ci dà identità».

A maggior ragione oggi che il lavoro rischia di essere cancellato dalla crisi Covid-19, oggi che il lavoro è smart, sempre più legato alla tecnologia, col rischio che la tecnica limiti la presenza dell’uomo.
«La situazione che stiamo vivendo ha messo in evidenza la fragilità dell’uomo. Nel racconto che farò domani (stasera per chi legge ndr) porto l’esempio di una fabbrica ipotetica in cui ogni processo produttivo è stato completamente meccanizzato. Se una fabbrica simile dovesse esistere, quella fabbrica avrebbe continuato a produrre anche in tempo di lockdown».

Uno scenario futuribile, alla Orwell o alla Huxley…
«Un racconto, ma anche una possibilità. Il rischio, finito tutto questo, è quello che si vada sempre più in cerca di una robotizzazione del lavoro. L’elemento umano può essere un rischio per la tenuta dell’economia e del sistema. La variabile umana può essere cancellata. La maternità è vista da molti datori di lavoro come un disincentivo all’assunzione di donne, sempre con maggiore difficoltà il lavoro sopporta la malattia. Racconto anche di un’azienda cinese che ha messo in atto tutta una serie di sistemi per impedire ai dipendenti di non soccombere o fuggire i turni massacranti. Il lavoro non permette le emozioni, non si può concedere il lusso della debolezza. Il rischio all’orizzonte, tanto più dopo l’emergenza Coronavirus, è quello di una spinta in avanti verso l’automazione dei processi produttivi, con tutte le conseguenze del caso».

Viene da pensare a questo punto a quei lavori che mal sopportano le macchine e l’automazione. E allora torniamo ai lavori d’ingegno e di creatività. A maggior ragione vale il suo Io non sono inutile…
«È notizia di oggi, credo, di un musicista che è stato fermato perché da casa sua stava andando a recuperare lo strumento per suonare. Non è valso nulla dire alle forze dell’ordine che per lui suonare era un lavoro, l’hanno multato, perché la musica è un hobby. E a chi fa il mio mestiere è capitato che l’addetta alle carte d’identità alla dichiarazione di: professione scrittore di teatro abbia alzato la testa e chiesto: ma il suo vero lavoro? Ecco perché il mio appello Io non sono inutile, che tanto clamore ha fatto, era rivolto non solo ai politici, ma alla gente comune, a quanti – e sono stati in tanti – che mi hanno scritto che era giusto che i teatri fossero chiusi, che le cose importanti e necessarie erano altre».

A nulla vale la messa in rete di spettacoli, musica, film… in fondo atti di generosità da parte degli artisti.
«Come sarebbe la nostra quarantena senza i film, la musica sull’iPad, gli appuntamenti in streaming che in un certo qual modo ci hanno tenuto compagnia? Tutto ciò ha dietro artisti e le professioni dello spettacolo e del sistema cultura, non bisogna dimenticarcelo. Allora tanto inutili non siamo. Lavorando al Piccolo Teatro, abbiamo concluso ogni tipo di attività il 22 febbraio, proprio come è accaduto da voi a Cremona».

Come se ne uscirà?
«Non lo so, ma una cosa mi preme dire, da lavoratore dello spettacolo. Dobbiamo tenere ferma e tutelare la natura dal vivo del teatro. Se è vero che il virus darà tregua, si può pensare ad attività estive con tutte le cautele del caso. Intanto pensiamo a una riapertura, anche a scarto ridotto, in autunno, in attesa del vaccino e di tornare al teatro che amiamo. Questo momento ci impone di trovare nuove formule di azione e di creazione, ci richiede creatività e voglia di metterci in gioco. Ma cerchiamo di non cancellare la magia dell’essere lì davanti a un pubblico, per quanto contingentato, a raccontare, a essere insieme nel qui ed ora, a condividere emozioni. Per questo stiamo attenti al teatro in rete, in streaming. Questo non può diventare una soluzione. Io l’ho detto. Io ci sono anche per soli 25 spettatori per sera, ma dal vivo, lì in sala con me a vivere il teatro».

Anche per questo motivo ha più volte sottolineato come la trasmissione Sul Lavoro Fondata non sia teatro in tv…
«Lo dico con forza. Non puntiamo tutto sulla tv, il rischio è quello di fare del teatro un genere televisivo. Il teatro è un’altra cosa, non mi stanco di ripeterlo in tutte le occasioni e lo abbiamo ribadito anche al ministro Dario Franceschini. Tutto non può limitarsi a una piattaforma online».

E il suo modo di raccontare come è cambiato?
«Il 22 febbraio tutto si è bloccato in Lombardia. Io stavo provando con Paolo Jannacci la nuova produzione del Piccolo Teatro, Storie. L’idea e il lavoro consisteva nel costruire uno spettacolo diverso per ogni sera. Ogni sera, per tutte le repliche di Storie, gli spettatori avrebbero sentito racconti diversi. Chi va in teatro sa che una replica non è mai identica a quella della serata successiva. In questo periodo di lockdown ho continuato a lavorare su questo progetto e su questi racconti. Ciò che diventa potente è l’istantaneità del teatro, è lo stare lì, ogni sera, insieme al pubblico, l’attore davanti allo spettatore, entrambi pronti ad abitare una narrazione. Una presenza che Corrado Formigli ha voluto che si sentisse forte anche in tv».

Cosa intende dire?
«Oggi come oggi la responsabilità di un artista e di uno scrittore che racconta è alta, così come il lavoro che svolgete voi giornalisti. Formigli ha voluto che in studio ci fossimo io e lui, insieme a raccontare questo periodo. Una presenza fisica questa che ha una sua forza che credo gli spettatori abbiano avvertito. Questa consapevolezza mi arriva dai riscontri che ho sui social, oltre che dai canali legati alla registrazione degli spettatori del talk».

La responsabilità del racconto, qual è?
«Come scrittore sento una grande responsabilità, oggi più che mai. Io sono la voce in presenza di uno scrittore che racconta emozioni e i contraccolpi emotivi che la condizione che stiamo vivendo provoca. Noi siamo il corifeo del sentire comune, lo siamo noi scrittori, lo siete voi giornalisti. Il mio lavoro, ma anche quello di chi scrive sui giornali a Milano, come a Cremona con «La Provincia» è quello di offrire a chi ci ascolta, chi ci legge come si percepisce il mondo, uno sguardo sulla realtà».

A proposito di sguardo sulla realtà. A questo sembra rispondere la sua scelta di non percepire alcun compenso per Sul Lavoro Fondata e di richiedere che chi sta dietro le quinte sia pagato come gli spetta…
«Anche questo è stato un modo per accendere i riflettori su chi lavora nel nostro mondo, in tv come in teatro, nella musica come nell’editoria. Se nel fare tv io posso avere un guadagno in termini di notorietà e quindi di nuovo lavoro, non è così per chi sta dietro le quinte. In questo modo ho fatto sì che si parlasse dei lavoratori dello spettacolo, lavoratori indispensabili per chi fa arte e cultura e questo nel giorno della Festa dei lavoratori».

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