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I giovani protagonisti. Adesso fidatevi di loro

Ecco perché i nostri ragazzi sanno essere appassionati, inclusivi, propositivi e coinvolgenti. La scuola multietnica, la società che cambia e quel cento e lode senza mai togliere il velo

11 Novembre 2025 - 05:30

I giovani protagonisti. Adesso fidatevi di loro

Da quando ho iniziato a dedicarmi al mondo della scuola e dell’adolescenza, nel 2001, dopo aver vinto un concorso ordinario per insegnare matematica e scienze alla scuola secondaria di primo grado, sono sempre rimasta affascinata da come i ragazzi e le ragazze cercano un riferimento negli adulti e da come riescono ad instaurare un rapporto di fiducia con loro non appena capiscono che ciò che ci sta a cuore è il loro bene. Sono cresciuta con loro insegnando fino al 2015, anno in cui sono entrata in ruolo come dirigente scolastica dopo aver superato un altro concorso ordinario.

Mi sono occupata di nuovo del primo ciclo di istruzione guidando un istituto comprensivo fino al 2024 e poi ho sentito che avrei potuto dare il mio contributo in una secondaria di secondo grado, da qui la scelta del passaggio. Con la paura, però, del rapporto con ragazzi e ragazze più grandi e, nella mia testa, più problematici e problematiche rispetto ai più piccoli.

E invece, a poco più di un anno da questo passaggio, devo dire che è stato proprio il confronto con loro ciò che mi ha dato più soddisfazione, ciò che mi ha portato ad andare in giro accompagnandoli in viaggi e concorsi, ad ascoltarli sempre, a dar loro la priorità assoluta, a lasciarli bussare ed entrare nel mio ufficio qualsiasi persona ci sia e qualsiasi cosa io stia facendo perché ho la certezza che se arrivano è perché c’è qualcosa di davvero importante da affrontare, qualcosa di non rimandabile. E fino ad ora, è sempre stato così.

In questo anno ho capito quanto questa generazione sia profondamente diversa dalla nostra — io sono nata nel 1968, mi sono diplomata nel 1987 e laureata nel 1992 —, ma conservi anche dei tratti che permettono loro di essere profondamente umani e di instaurare dei rapporti così profondi tra pari e con gli adulti. Partiamo dal cambiamento nella composizione della società dal punto di vista della componente etnica: per loro ritrovarsi in una classe dove due di loro sono di nazionalità italiana, cinque o sei provengono dall’area del Maghreb, altri dall’India, dall’est Europa, dall’Africa sub sahariana è una condizione perfettamente normale. È normale sentir parlare gruppi di compagni nella loro lingua madre, è normale accettare determinati atteggiamenti e comportamenti semplicemente perché loro non ‘accettano’. È così e basta.

La differenza fondamentale tra noi adulti e loro è che i nostri adolescenti sono in questa condizione da quando sono nati, non hanno vissuto il fenomeno dell’arrivo di persone di nazionalità diversa dalla nostra e sono quindi loro che spiegano a me perché ragazzi e ragazze cinesi hanno determinati comportamenti in alcune situazioni, non per criticare o deridere ma solo per far capire a me quell’atteggiamento, nulla di più. Ho compreso che non dobbiamo impazzire a scuola per includere tutti perché tra i ragazzi è già così, il lavoro che va portato avanti è solo sugli adulti, sui genitori, soprattutto su quelli italiani che pensano che una percentuale elevata di alunni ed alunne stranieri in una classe ‘rallenti il programma’ per poi scoprire che dei tre cento e lode avuti nell’istituto che dirigo (Ghisleri di Cremona) a giugno 2025 uno era italiano e due di nazionalità straniera, addirittura una ragazza di nazionalità marocchina che nel tempo libero fa l’arbitro di calcio, senza togliere mai il velo perché comunque l’ancoraggio alle sue origini è e rimane forte.

Passiamo ora alle loro passioni: i nostri giovani, nonostante l’opinione pubblica diffusa sostenga il contrario, hanno passioni profonde e radicate che vogliono conservare e portare avanti. E questa è una delle condizioni sine qua non quando sostengono un colloquio di lavoro. Sono appassionati di lettura, disegno, arte, cucina, musica, sport e motori e questo lo vedo e lo tocco con mano io che dirigo un istituto tecnico dove si parla di amministrazione, finanza e marketing, costruzioni, ambiente e territorio, si studia diritto ed economia politica, ma i progetti a sfondo letterario ed umanitario trovano sempre grande seguito e sono condivisi da tutti, anche nel portarli poi verso l’esterno dell’istituto.

Quindi, visto che ogni sette posti di lavoro e a causa dell’inverno demografico c’è un solo ragazzo o una sola ragazza disponibile a coprirne uno, in sede di ricerca e di selezione, da parte loro e non da parte dei datori di lavoro come accadeva per noi, uno dei punti fondamentali di trattativa è la possibilità di conciliare il lavoro e la propria vita, vita dove trovano spazio le loro passioni e i loro rapporti che, a differenza anche qui di quanto si pensi, sono reali e fatti di uscite ed aperitivi, non solo di social e chat di WhattsApp.

Il mondo e la società quindi cambiano, anzi sono già cambiati, ma dobbiamo renderci conto che siamo noi che ci dobbiamo adeguare e non il contrario. Altrimenti lo scollamento che già esiste sarà sempre maggiore.

E, quindi, cosa fare? Giorgio Prada, formatore e pedagogista dell’Università di Milano Bicocca, spiega molto bene ai genitori, durante i suoi corsi di formazione, che la difficoltà della nostra generazione a gestire cellulari, social e tutto ciò che ne deriva dei nostri figli e dei nostri ragazzi è dovuta al fatto che noi su tutta quell’area non abbiamo esperienza. Mentre infatti riusciamo a passare loro la corretta gestione del denaro, le regole per quanto riguarda uscite e rientri e l’uso di scooter o automobili, sui device e sui social non riusciamo poiché noi, quando eravamo adolescenti, non abbiamo maturato esperienza in quel campo e quindi, da adulti, non riusciamo a vedere tutta la questione dal punto di vista degli educatori e quindi a gestirla. Questa consapevolezza, maturata da parte mia proprio durante una serata di formazione con il professore ospite del comprensivo di Pizzighettone dove ero allora dirigente reggente, mi ha cambiato la vita e ho compreso che riusciamo a dare il meglio come guida e come educatori solo se lasciamo spazio e voce ai ragazzi e alle ragazze.

L’orientamento, soprattutto quello in ingresso, nel mio istituto funziona bene (dati derivanti dai questionari di soddisfazione, non opinione mia) perché sono i ragazzi e le ragazze del triennio che accompagnano in giro per la scuola — naturalmente guidati da docentigenitori e futuri alunni ed alunne, spiegando loro come sono organizzati i piani di studio, come vengono utilizzati i laboratori, come vengono gestiti la formazione scuola lavoro o le visite aziendali.

Ho imparato a chiedere a loro se ho qualche dubbio sulla partenza di un corso, sull’accoglienza di un relatore per una determinata tematica, e quando seguo il loro consiglio tutto va sempre per il meglio.

Ecco quindi che il Ministero dell’Istruzione e del Merito ci offre una grande opportunità per mettere finalmente in pratica tutto quando detto fino ad ora: i percorsi ‘4+2’ di cui tanto si sente parlare. Sono percorsi con un corso di studi all’interno di un istituto tecnico, come nel mio caso, o di un istituto professionale, che, insieme ad aziende ed associazioni partner e ad un Istituto Tecnico Superiore (Its) mette a fuoco una figura professionale finale e costruisce, a ritroso, un percorso costituito da quattro anni di scuola secondaria di secondo grado e due anni di Istituto Tecnico Superiore ma nel quale si innestano, strada facendo, project work e momenti di formazione scuola lavoro che andranno a costituire le cosiddette ‘settimane di filiera’.

Quattro anni nei quali le ore effettive svolte saranno pari a quelle di un percorso quinquennale ma con rientri al sabato per momenti di recupero o potenziamento strutturati, settimane nelle quali i ragazzi collaborano con docenti e studenti dell’Istituto Tecnico Superiore in progetti condivisi e sviluppati insieme, settimane di formazione scuola lavoro con le aziende partner che gli alunni e le alunne del percorso quadriennale imparano a conoscere da subito, già dal loro primo anno.

La prima classe di questo percorso, ancora sperimentale ma ordinamentale a partire dall’anno scolastico 2026/2027, nel mio istituto è nata quest’anno ed è sull’indirizzo ‘Sistemi informativi aziendali’; è una classe estremamente eterogenea, con ragazzi e ragazze avanti di un anno rispetto ai quattordici anni canonici, ma anche con anticipatari, che comprende le nazionalità più disparate ma dove ognuno di loro ha scelto e voluto fortemente questo percorso, comprendendo la potenza della programmazione fatta insieme ad aziende e ad Its da subito e consapevole del maggiore impegno che è richiesto ma anche delle grandi opportunità offerte.

E, ancora una volta, le mie paure e le mie ansie si sono dissolte davanti a questo gruppo di diciannove ragazzi e ragazze che mi dicono che finalmente hanno trovato un modo per stare a scuola come piace a loro, con un setting d’aula che spesso muta, facendo esperienze che li appassionano e li arricchiscono e che rifarebbero questa scelta altre mille volte. E questa è la direzione, è ciò verso cui dobbiamo tendere tutti se vogliamo contenere la fuga dei nostri giovani verso altri Paesi, se vogliamo che siano loro a portare avanti la nostra società: dobbiamo ascoltarli, fidarci, essere le loro guide ma lasciare che siano loro i protagonisti delle loro vite.

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