L'ANALISI
I NODI DELLA GIUSTIZIA
23 Ottobre 2025 - 08:39
Marta Cartabia con Adolfo Ceretti. A destra il pubblico con in prima fila Grazia Grena
CREMONA - Il suo primo incontro con la giustizia riparativa lo deve al testo Il libro dell’Incontro scritto dal criminologo e mediatore Adolfo Ceretti con Guido Bertagna e Claudia Mazzuccato: otto anni di dialoghi tra familiari delle vittime e autori della lotta armata. Nel volume c’è anche la testimonianza di Grazia Grena, l’ex terrorista di Prima Linea, condannata a 8 anni per organizzazione di banda armata e rapina.
A quei tempi, Marta Cartabia era presidente della Corte Costituzionale (ora è presidente emerita). «La testimonianza anche di Grazia Grena ha segnato un prima e un dopo nel mio modo di guardare la giustizia». Da qui, i programmi di giustizia riparativa introdotti nel 2021 dalla legge che porta il suo nome — Riforma Cartabia — quando lei era ministra della Giustizia, chiamata dal Governo Draghi.
Ore 18 di ieri, aula magna gremita del Campus Santa Monica dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. Cartabia, ordinaria di Diritto costituzionale italiano ed europeo presso l’Università Bocconi, e Ceretti, ordinario di Criminologia e docente di Mediazione reo-vittima all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, nonché segretario generale del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale, parlano di giustizia riparativa.
L’incontro è moderato da Francesco Centonze, professore ordinario di Diritto penale presso la facoltà di Economia e Giurisprudenza dell’Università Cattolica. Il convegno chiude il percorso “Disarmare il dolore – Attraverso i conflitti nell’orizzonte della giustizia riparativa”, promosso da Comune, Csv Lombardia Sud Ets, Pastorale sociale della Diocesi, Caritas Cremonese e Consorzio Solco Cremona.
In prima fila c’è Grena. «Tutta la storia della giustizia riparativa — spiega il professor Ceretti — è la storia che permette alle persone di uscire da uno stato di passività, di scongelare le proprie memorie di dolore, di sofferenza del male inflitto e, attraverso questo avvicinamento, questa creazione di lenti ma inesorabili aiuti, a fare ciascuno uno sforzo verso l’altro, a costruire delle parole ponte che possano portare entrambi i partecipanti a far risuonare dentro di sé l’esperienza vissuta, che diventa uno specchio per l’altro. Se io vittima comincio a raccontarti che cosa mi è accaduto attraverso il male che tu mi hai inflitto, io perpetratore comincio a conoscere la tua esperienza».
L’ascolto «per ritrovare il senso della responsabilità».
Cartabia cita una frase del cardinale Carlo Maria Martini: «Non ci può essere l’inizio nel processo di pace e di pacificazione fino a quando io non vedo il dolore dell’altro». Fino a quando chi è responsabile di un reato non ascolta il dolore della vittima.
Funziona così: «Gli incontri sono semplici, l’autore del reato e la vittima si incontrano alla presenza di un mediatore, che non è certo un negoziatore. È chiaro che il dolore della vittima è più lancinante, ma c’è anche il dolore di chi apre gli occhi a quello che ha commesso e il dolore lo accompagnerà tutta la vita».
Certo, prosegue Cartabia, «la presa di consapevolezza della propria responsabilità può richiedere anche molto tempo, anni. Mi preme sottolineare un punto: quando si parla di giustizia riparativa, molto spesso si pensa che sia un percorso di chi vuole farla franca, una scorciatoia per avere benefici, per cavarsela. Può anche darsi, ma io credo che nel momento in cui ti prendi la tua responsabilità di fronte a una vittima, sfido chiunque a dire che questa non è una giustizia esigente»*.
Qual è il passaggio successivo della legge?
«Questo è solo l’inizio — sottolinea Cartabia —. Si deve fare molto di più. Ci sono tante cose da fare, alcune più pratiche come tutto il lavoro di formazione iniziale dei mediatori, una formazione permanente, perché sono professioni delicate. Soprattutto, si deve fare un lavoro culturale, incontri culturali per tutti.
La giustizia riparativa è, forse, la cosa più nuova, ma si intreccia anche con la giustizia tradizionale. Non mi stupisce il sospetto, perché finché non la si vede, non si crede».
La giustizia riparativa vale per tutti i reati e in ogni stato del procedimento, ma, evidenzia la madre della legge, «è una occasione per i giovani ancora di più». Nei giovanissimi, «l’inconsapevolezza del gesto che fai è totale. ‘Che male ho fatto? Io ho rapinato una banca, non ho fatto del male a nessuno’».
L’auspicio di Cartabia: «Io spero che nessuno, di fronte a un ragazzo di 14, 16, 17 anni, pensi: “La tua strada è segnata”».
Da Prima Linea alla giustizia riparativa.
Grena al convegno non rilascia dichiarazioni, ma in una delle numerose interviste rilasciate, ha spiegato: «Non ho mai avuto in mano una pistola, ma moralmente sono colpevole, anche se ognuno ha le sue proporzioni. Scontata la pena, mi sono presa del tempo, ho avuto un figlio, non volevo sentirmi ancora colpevole.
Nel 1990 iniziai però a fare volontariato a San Vittore; nel 2006 con Los carcere, avviammo uno sportello interno ed esterno al penitenziario di Lodi per aiutare carcerati, ex e le loro famiglie. Non avevo però ancora affrontato il cuore del problema. È stato solo il percorso di giustizia riparativa che mi ha permesso di dare un senso alla mia vita, tenendo insieme il prima e il dopo: ho capito che non è l’errore in sé a fare la differenza, ma quanto riesci a imparare da esso».
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