L'ANALISI
15 Ottobre 2025 - 17:15
Il tribunale di Cremona
TORRE DE' PICENARDI - Il parroco di Canneto sull’Oglio (Mantova) responsabile del centro estivo, la sua collaboratrice, due educatrici di una cooperativa, una volontaria, la legale rappresentante della società concessionaria della piscina e tre bagnini, uno dei quali minorenne e per il quale gli atti sono stati trasmessi alla Procura presso il Tribunale per i minori di Brescia.
Sono tutti indagati per la morte di Leonardo Xu, il bimbo di 10 anni, residente con i genitori e i due fratelli a Canneto, annegato nella piscina comunale di Torre de’ Picenardi, il 18 giugno scorso: il mercoledì del Grest organizzato per 140, tra bambini e adolescenti, trasformato in un lutto inconsolabile. Leonardo non sapeva nuotare. E come lui, più di 30 ragazzini del Grest.
Poco dopo le 14, il bambino si è tuffato nella vasca degli adulti. Se ne è accorto un amico più grande che lo ha recuperato sul fondo. Leonardo era privo di sensi. Non ha mai ripreso conoscenza né durante i disperati tentativi di rianimarlo a bordo piscina né al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove è arrivato sull’eliambulanza. Leonardo è morto due giorni dopo.
Omicidio colposo, in cooperazione tra loro, è l’ipotesi di accusa contestata dal pm Andrea Figoni, che ha notificato l’avviso di conclusioni delle indagini preliminari (415 bis).
«Nulla impedisce che dopo la fase del 415 bis, anche all’esito di memorie difensive e di interrogatori, si possa anche un po’ meglio inquadrare e circoscrivere la vicenda — sottolinea il procuratore capo Silvio Bonfigli — ma, certamente, in questa vicenda, un po’ complessa e drammatica, ci sono delle responsabilità che vanno un po’ divise».
Responsabilità che «vanno in più direzioni», precisa il pm Figoni che ha affidato le indagini ai carabinieri. Responsabilità già «a monte», sulla «scelta di organizzare un Grest in piscina con oltre trenta minori che non sapevano nuotare. Quando vai in una piscina, è abbastanza pericoloso, lo sappiamo, a maggior ragione quando si gestiscono situazioni così particolari. Secondo noi, bisognava fare le verifiche, perché poi, quando accadono queste tragedie, si va nel dettaglio e ci si rende conto che le cose non sono a regola d’arte. Quando accadono queste tragedie, se ne pagano le conseguenze».
Il pm parla di «omissioni», di «notizie non circolate», di «confusione su chi doveva fare che cosa», di «omessa vigilanza di chi era nella struttura: bagnini e accompagnatori».
Le «omissioni a monte». Parroco e collaboratrice, l’uno responsabile, l’altra addetta del Grest Toc Toc 2025, avrebbero «omesso di adottare misure in concreto idonee a tutelare i minori loro affidati». Pur sapendo che più di 30 bambini, tra cui Leonardo, non sapevano nuotare, non avrebbero «predisposto un adeguato servizio, scegliendo di effettuare la gita esterna in un impianto senza compartimentazione delle due vasche (adulti e minori), omettendo di comunicare, mentre organizzavano la gita, a tutti gli accompagnatori (animatori compresi) e al gestore della piscina, esattamente il numero di chi non sapeva nuotare e i criteri per la loro individuazione». E ancora, avrebbero «omesso di impartire specifiche direttive per la tutela degli stessi, prevedendo un numero di accompagnatrici non adeguato al numero dei minori, nonché delegando, di fatto, la gestione del gruppo a minorenni non adeguatamente formati».
«Il sistema era delegato a cascata - precisa il pm Figoni —. All’interno del gruppo, c’erano i minori più grandi che dovevano vigilare sui più piccoli, lasciando due, tre persone adulte come punto di riferimento». Così, per l’accusa, le due educatrici e l’accompagnatrice, «pur essendo in numero non adeguato rispetto al contesto», avrebbero «omesso qualsiasi forma di controllo sul gruppo di minori, non partecipando adeguatamente l’informazione rilevante (chi sapesse nuotare e chi no) né ai responsabili della piscina né agli assistenti bagnanti, né intervenendo direttamente nella gestione».
Quel giorno, due dei tre bagnini erano a bordo vasca, un altro era al bar. «Non hanno visto e non sono intervenuti». Per il pm, «non hanno prestato la dovuta attenzione agli utenti, omettendo una fattiva sorveglianza ed intervenendo solo successivamente all’annegamento di Leonardo, il quale veniva recuperato da un altro ragazzino minorenne».
La legale rappresentante della società concessionaria della piscina, avrebbe «omesso di effettuare le verifiche sulla sicurezza dell’impianto». Nella struttura c’erano due vasche: una per i bambini profonda 40 centimetri, l’altra per gli adulti, 25 metri per 12. Il nodo è la profondità. «Con dei riscontri in loco — afferma il pm —, abbiamo verificato che la parte in cui si era immerso Leonardo, era segnata con una profondità diversa da quella indicata: 140 centimetri anziché 150. Tale circostanza ha avuto un’ incidenza causale diretta sull’annegamento». Leonardo era alto 1 metro e 50. «Considerando la distanza di 131 centimetri tra le narici e il tallone, magari mettendosi in punta di piedi, forse sarebbe riuscito a darsi una spinta», a chiedere aiuto. Invece, «non si è dimenato». Per dirla con il procuratore, «probabilmente si è trattato di un annegamento silenzioso».
LA DIFESA
«Nel massimo rispetto della tragedia che ha poi coinvolto e colpito tutti, leggeremo come si è arrivati a formulare il capo di imputazione. Ora andremo a vedere gli atti contenuti nel fascicolo. Prendiamo atto delle ipotesi di accusa, delle contestazioni, in ordine alle quali avremo tutto il tempo di spiegare, di chiarire le singole posizioni dei miei clienti», ha dichiarato l’avvocato Cesare Grazioli, difensore dei tre bagnini e della legale rappresentante della società concessionaria della piscina. «La vicenda - ha aggiunto l’avvocato — va affrontata con la consapevolezza di verificare a fondo tutto, nel senso che in merito alle singole responsabilità ci sarà da chiarire. Valuteremo se presentare memorie difensive o chiedere di essere interrogati».
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