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IL CASO

Salma bloccata e autopsia: «Troppe stranezze»

Badante 60enne trovata morta in una villa a Dalmine. La famiglia fa querela in Questura

Francesca Morandi

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06 Ottobre 2025 - 05:15

Salma bloccata e autopsia: «Troppe stranezze»

Nel riquadro Renata Bossi

CREMONA - Un fascicolo contro ignoti, l’ipotesi di accusa di morte come conseguenza di altro delitto.

La Procura di Bergamo ha avviato un’indagine e disposto l’autopsia per accertare le cause della morte di Renata Bossi, la badante cremonese di 60 anni, la mattina del 3 ottobre scorso, venerdì, trovata senza vita a Dalmine (Bergamo), nella camera da letto della villa di marito e moglie, lui imprenditore. Da circa un mese Renata lavorava per loro — ancora senza contratto — come badante di una delle due persone fragili all’interno del nucleo familiare. Almeno così credeva, quando dall’abitazione al numero 75 di via Massarotti, si era trasferita a Dalmine. Là ha scoperto di doversi occupare di entrambe le persone disabili, di cui una in carrozzina. «Un incarico troppo gravoso». Renata là «non stava bene». Una decina di giorni prima, al suo avvocato, Marilena Gigliotti, aveva parlato di «vessazioni». «Era preoccupata, mi ha spiegato che non le avevano fatto il contratto e che il 3 ottobre sarebbe venuta via di sua volontà. Mi ha confidato che il proprietario di casa le impediva l’uso del telefono e non le consentiva di allontanarsi liberamente». Voleva andarsene. Aveva anche stabilito quando: proprio il 3 ottobre.

Carmen Santoro è la pm che sabato sera ha bloccato la salma, in seguito alla querela (contro ignoti) presentata, di corsa, la mattina in Questura a Cremona, dai familiari di Renata per le «troppe stranezze». Giovedì prossimo la pm darà l’incarico al proprio consulente tecnico. Si riservano di nominarlo gli avvocati Gigliotti, legale di Erica e Giuseppe, 39 e 25 anni, figli della badante, e Antonio Maestrini per l’ex secondo marito della donna.

La telefonata è arrivata alle 14.20 di venerdì 3 ottobre, mentre era al lavoro. Una di quelle notizie che non si vorrebbe mai ricevere: «Siamo i carabinieri della stazione di Dalmine, sua madre è morta». Renata Bossi aveva 60 anni, abitava al civico 75 di via Massarotti. È stata trovata senza vita nella camera da letto della villa di una famiglia di imprenditori del paese della bergamasca. Era lì da circa un mese come badante di due persone fragili, una in carrozzina.

Lì dormiva, lì lavorava ancora senza contratto. «Era in prova da sei giorni. Le abbiamo dato ospitalità gli ultimi due», avrebbero detto i padroni di casa ai carabinieri. Un decesso da subito incasellato come «morte naturale»: arresto cardiaco. Lo ha certificato la guardia medica dalla scrivania dell’ambulatorio — non era andata a ispezionare la salma —, salvo poi scusarsi con i familiari della badante e recarsi con loro in villa per «la visita».

Niente autopsia «in assenza di segni di violenza esterna». Sentiti i carabinieri, venerdì, il pm aveva dato l’ok per il trasporto della salma a Cremona, oggi. Intorno alle 19 di sabato, contrordine. Salma «bloccata»: la Procura ha disposto l’autopsia, ma c’è voluta «l’insistenza» dei familiari. Soprattutto, una querela contro ignoti presentata alle 11 di sabato alla Polizia di Cremona, dopo il venerdì di dolore e di «stranezze».

«Troppe stranezze», dice Gigliotti, l’avvocato che ha accompagnato in Questura Giuseppe, figlio di Renata di prime nozze e, rimasta vedova, il secondo marito, dal quale si è separata, ma erano in buoni rapporti. Quattro pagine di querela con allegati video, fotografie e documenti. L’autopsia sarà effettuata domani o mercoledì. Dalla Sala del Commiato di Villa Almè, dove è stata portata venerdì sera, ieri la salma è stata trasferita all’ospedale di Bergamo.

Una decina di giorni fa, l’avvocato Gigliotti aveva incontrato Renata: «Era preoccupata, mi ha parlato di vessazioni. Mi ha spiegato che non le avevano fatto il contratto e che proprio il 3 ottobre sarebbe venuta via di sua volontà». La badante si era confidata anche con l’ex marito. La querela: «Mi riferiva frequentemente di non trovarsi bene in quell’impiego, lamentando di non essere stata regolarizzata con un contratto di lavoro, di non avere intenzione di proseguire con quella famiglia». Voleva trovarsi un lavoro in Svizzera. Là abita una zia. «Si lamentava dei ritmi lavorativi particolarmente gravosi. Voleva cessare l’attività proprio il 3 ottobre. Otre a lavorare per questa famiglia, vi risiedeva stabilmente, tornando saltuariamente a salutare i figli».

Venerdì la telefonata, la corsa a Dalmine. Verso le 16, Giuseppe, fidanzata ed ex marito arrivano nella villa: ci sono i proprietari, le due persone disabili, i carabinieri chiamati dalla moglie dell’imprenditore. Le valigie della badante sono già sistemate al piano terra. Giuseppe viene accompagnato nella camera da letto, al primo piano. La madre «è supina, coperta da un lenzuola, il fianco sinistro e la schiena pieni di ecchimosi».

La querela. «La proprietaria ha riferito che la mattina, alle 7,30/8, Renata aveva accusato un malessere e aveva vomitato, aggiungendo che la badante voleva riposare». Rientrata dalle commissioni, la proprietaria è andata in camera da letto. «Ha riferito che Renata dormiva ancora, l’ha lasciata riposare. Solo alcune ore più tardi, nel tentativo di svegliarla per offrire una camomilla, l’ha trovata coricata sul fianco sinistro, priva di conoscenza». Il messaggio cardiaco, la chiamata al 118. Tutto inutile.

«Il proprietario ha detto ai carabinieri che la signora era in prova da sei giorni, ma non è così». È la prima «stranezza» evidenziata dall’avvocato Gigliotti, il venerdì sera rimasta incollata al telefono con Giuseppe. Alle 18.20, l’avvocato telefona alla stazione dei carabinieri di Dalmine, mezz’ora dopo la richiama il brigadiere. Si parlano.

Le «troppe stranezze» sono riversate nella querela. «La signora era adagiata sul letto completamente rifatto. Strano — osserva il legale —, visto che aveva dormito la notte. Strano che non indossasse il pigiama, come da abitudine, ma era vestita da giorno. Strano che avesse al polso l’orologio. Lo toglieva sempre, prima di dormire. La proprietaria ha detto che la signora si era sentita male la mattina. Nel telefonino di Renata ci sono messaggi mandati a un amico: risulta che già dal giorno precedente non si sentiva bene e aveva vomitato».

Venerdì in villa arrivano quelli delle pompe funebri (tre persone). Uno di loro «ci ha mostrato sul tavolo i documenti già redatti dalla guardia medica. C’era la precisazione che i familiari non avevano chiesto l’autopsia». «Falso». I familiari di Renata devono insistere per farsi accompagnare alla guardia medica. «La dottoressa di turno ha confermato che non era corretto compilare i referti a distanza, si è scusata per l’accaduto e che avrebbe rifatto il referto». Il medico sale sull’auto dei familiari di Renata. Si torna in villa. «Ha fatto la visita, ha attribuito le ecchimosi alla posizione assunta ‘post mortem’ — evidenzia l’avvocato — circostanza che ci appare anomala: quei segni normalmente compaiono dopo molte ore, mentre il decesso era avvenuto da poco tempo». La dottoressa ricompila la documentazione, indicando l’autopsia come «da eseguire».

Durante l’andirivieni, la salma di Renata resta «incustodita per più di un’ora» in giardino, chiusa in un sacco adagiato su una barella. «Inaccettabile», sbottano i familiari. Sabato mattina la querela: «Ci sono tante cose strane, vogliamo venga fatta certezza su questa storia, che si apra una indagine, che venga accertata la causa del decesso, che venga disposta l’autopsia». Sabato sera, il sì all’autopsia.

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