L'ANALISI
05 Ottobre 2025 - 05:05
PIZZIGHETTONE - Incontro speciale per Edoardo Moggi, che nella città murata è conosciuto semplicemente come Edo: il 48enne nato con una lesione cerebrale che gli ha provocato una tetraparesi, infatti, nei giorni scorsi in Vaticano ha incontrato papa Leone XIV. Si tratta del terzo pontefice a cui stringe la mano. La vita di Edo, seppure segnata dalla disabilità, è diventata per tutti i pizzighettonesi un esempio di resilienza e coraggio. Anche grazie alla famiglia, in particolare mamma Marisa, e ai tanti amici e volontari che non l’hanno mai lasciato solo. Attorno a lui, infatti, è nata l’associazione ‘Amici di Edo’: dopo essersi alternati per circa trent’anni nell’assisterlo durante la ginnastica, gli ‘angeli’ pizzighettonesi hanno costituito un vero e proprio sodalizio che un anno fa ha spento 15 candeline. Oggi il gruppo aiuta con costanza anche altri, che vedono in Edo il loro punto di riferimento. Con il sorriso l’amico Carlo Gori l’ha definito «il ‘top gun’ della disabilità» e Moggi ha subito apprezzato la definizione, così come il ruolo di ‘caposquadra’.
Ad aiutarlo nell’affrontare le difficoltà della vita è stata anche la fede. Per questo familiari e amici hanno voluto accompagnarlo a conoscere i pontefici: prima papa Giovanni Paolo II (nel 1996), poi papa Francesco (nel 2013) e infine Leone XIV. Moggi ha incontrato Prevost qualche settimana fa, in occasione di un viaggio all’Aquila programmato per portare avanti un percorso riabilitativo. L’occasione ideale per raggiungere San Pietro. Durante l’udienza generale il pizzighettonese non ha nascosto l’agitazione e quando il Papa si è avvicinato glielo ha confessato: «Buongiorno Papa, sono emozionato». Gli ha poi confidato che, quest’anno, ricorrono i trent’anni dalla morte del padre. Il pontefice gli ha stretto più forte la mano, impartendogli la benedizione.
Edo, che è anche vicepresidente onorario del Corpo bandistico locale, ha sempre avuto una grandissima abilità nell’entrare in relazione con gli altri. Papi compresi. «Ogni volta la stessa emozione, la stessa capacità di cogliere in quegli incontri un privilegio e un segno di speranza da condividere», racconta chi lo ha accompagnato. Nel riguardare le sue foto coi pontefici e nel ricordare quei momenti carichi di fede, gli occhi di Edo si sono nuovamente illuminati: si chiama felicità. Perché la sua vita ha saputo andare oltre le barriere, regalandogli tante gioie. Non si stanca di dirlo, a suo modo, e di infondere coraggio agli amici con i quali condivide il percorso. In un tempo in cui la società talvolta fatica a riconoscere il valore dei più fragili, Edo ricorda a tutti che ogni vita merita di essere vissuta pienamente.
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