L'ANALISI
11 Settembre 2025 - 05:25
CREMONA - «Alea iacta est». Non sul Rubicone ma sul Fregalino, il canale del Boschetto, confine simbolico tra il quotidiano e l’avventura.
È qui che Giuseppe Benedini, per tutti Peppo, 47 anni, insegnante cremonese di storia all’Università di Bahia, e suo figlio Giovanni, Pino per gli affetti più stretti, 13 anni appena, hanno dato la prima pedalata verso Roma. Obiettivo: il Giubileo, da conquistare non con l’aereo o il treno, ma con la forza delle gambe, l’ostinazione dei pellegrini e un pizzico di follia da road movie all’italiana.
Con loro, come colonna sonora vivente, i fratelli De Angelis: Marco in sella, Federico alla guida del camper d’appoggio. «Sono i nostri Oliver Onions» scherza Peppo, evocando i musicisti che hanno regalato a Bud Spencer e Terence Hill le marce immortali delle scazzottate. E in effetti la compagnia ha tutto il sapore di quelle avventure di celluloide: sudore, incontri imprevisti, piccole disavventure, ma soprattutto la leggerezza di chi trasforma la fatica in racconto.
Sette tappe, ognuna con un segno particolare. Da Sorbara a Bagnacavallo, da San Piero in Bagno a Umbertide, poi Spoleto, Orte e infine Roma. Con deviazioni poetiche: le fonti del Clitunno, la cascata delle Marmore, le mole di Narni. «Un percorso che mi ha fatto scoprire a poco a poco la mia Italia», confessa Pino, nato in Brasile, che a 13 anni ha già imparato che il viaggio non è solo distanza ma rivelazione.
Le salite al 15% hanno messo a dura prova i polpacci, e non sono mancate le forature: tre solo per il giovane Pino, la prima già alle porte di Gussola. Ma ogni contrattempo si è trasformato in episodio di un’epopea familiare. «Abbiamo incontrato personaggi incredibili – racconta Peppo – come il Bravaccini, locandiere a Bagno di Romagna. Ci ha accolti con il suo motto: 'Dovete crederci sempre, io ero il numero uno. Facevo il portiere'. Un incontro che vale più di mille panorami».
Il cammino non è stato privo di tratti epici: sei chilometri di sterrato da San Liberato a Orte, con il Lazio da un lato e l’Umbria dall’altro, una sorta di frontiera western. A unirsi per un tratto di strada anche Giovanni Anselmi, ex compagno di università di Peppo, ciociaro di origine, che ha portato il calore delle vecchie amicizie dentro questa carovana improvvisata.
L’arrivo a Roma è stato un crescendo. In Piazza San Pietro l’indulgenza plenaria ha avuto il sapore di una ricompensa intima, non di un trofeo da esibire. «Un’emozione enorme», dicono all’unisono padre e figlio. Lì, tra colonne berniniane e il sole che cadeva sulle cupole, la fatica si è fatta preghiera e il viaggio si è compiuto.
Non è la prima volta: già nel 2016 Peppo aveva compiuto la stessa impresa con Marco, allora senza camper e solo con uno zaino. «Ma l’età avanza», sorride. Da qui la decisione di replicare con Pino, quasi a passare il testimone di una tradizione familiare fatta di catene da ingrassare e chilometri da macinare. E chissà, qualcuno ha già lanciato la battuta: «Giubileo 2050? Vedremo chi ci sarà ancora in sella».
Il ritorno è stato meno glorioso, in treno. «Perché a scendere tutti i santi aiutano, ma risalire è difficile» ironizza Peppo. Con disavventure e ritardi che hanno reso ancora più evidente il paradosso: la bici, alla fine, resta il mezzo più affidabile.
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